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Benevento, è già tempo di guardare avanti: non c’è solo delusione. Il futuro, Foggia e Bucchi…

Benevento, è già tempo di guardare avanti: non c’è solo delusione. Il futuro, Foggia e Bucchi…

27 Maggio 2019 | by redazione Labtv
Benevento, è già tempo di guardare avanti: non c’è solo delusione. Il futuro, Foggia e Bucchi…
Benevento Calcio
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E’ già tempo di guardare avanti e di pensare al futuro. La delusione è dura da smaltire, Benevento si aggrappa all’intatta ambizione. La lunga notte di Caldirola, è stata quella un po’ di tutti i tifosi e poi con lui Maggio e Improta provano a caricare “riproviamoci”. Il cazzotto del Cittadella è quello del pugile che aveva abbassato la guardia, l’applauso tra squadra è tifosi ad inizio riscaldamento di sabato non era quello di chi si caricava, ma di quello che sentiva di aver già vinto. Mezz’ora di convinzioni, poi Diaw ha fatto scivolare la Strega dalla scopa che sembrava già pronta a volare in finale, non a caso il raddoppio porta la firma di Panico, proprio come lo stato in cui poi è entrata la squadra sannita, incapace di reagire, bloccata dalla paura, impacciata. La fotografia di una stagione, dove con troppo poco Maggio e compagni si esaltavano e che con altrettanto troppo poco si abbattevano. Inutile aprire il processo, più costruttivo individuarle quelle lacune per cercare di colmare, ripartendo però anche dalle certezze ricostruite in un anno comunque di rifondazione. “Scendere dalla Serie A non vuol dire avere il pass di diritto per tornarci”, risuonano quelle parole saggiamente costantemente ribadite dal presidente Vigorito nell’arco di tutta la stagione, nei momenti bui o di luce. Chi non c’ha creduto, se ne sarà poi accorto. Una partita importante e sbagliata, macchiata da errori collettivi ed individuali, ma pur sempre una partita. La squadra si vede proprio negli appuntamenti importanti, quegli stessi che troppo spesso la squadra di Bucchi aveva già steccato, poi incapace di fare quel salto. Carenze. Ma pur sempre una partita. E possono 90 minuti, per quanto sbagliati, cancellare o distruggere un anno intero di lavoro? Il Benevento ha chiuso il campionato a 60 punti, quarta in classifica per punti e poi terza, prima nella regular season tra le retrocesse. Non era poi così scontato. Vero è che poi si è sgretolato quando i nervi dovevano rimaner saldi, ma forse una stagione intera non è bastata. Perché un’estate può esser sufficiente per costruire una rosa, non è detto che basti a costruire un gruppo. Che poi quando ci sono di mezzo caratteri, ragazzi ed emozioni, non esistono equazioni già scritte. Quando ha perso la bussola, la squadra ha faticato a trovare quella colonna su cui aggrapparsi, forse perché nessuno aveva ancora le spalle così larghe da poterne sopportare il peso. Nel corso dei mesi son venuti a mancare quei giocatori all’inizio relegati ad un ruolo anche di leadership all’interno dello spogliatoio. Quel ruolo che però viene riconosciuto dal gruppo e non ottenuto di diritto per il numero di capelli bianchi o il curriculum. E il tempo, infatti, ha poi fatto la sua naturale selezione. Col tempo, quella descrizione ha poi risposto a qualche volto, ma in corsa diventa sempre più difficile, perché scrivere su un foglio già macchiato è sempre più difficile. Il vuoto lasciato da Lucioni è stato difficile da colmare. Discutiamone per tutte le ore che il Padreterno ci concede, poi sono i fatti a dimostrare… Ma la partenza dell’ex capitano è stato un po’ l’emblema del cambiamento, di una sorta di anno zero e di ricostruzione per un progetto al quale, non a caso, sono stati dati 36 mesi. C’è stato il tentativo di accorciare i tempi, ma il fallimento è decretato dal mancato raggiungimento delle aspettative. Il Benevento non è andato oltre, ma non ha neanche tolto… La stagione non lascia solo la delusione di sabato, ma anche un anno di lavoro di idee sul campo, di maturazione dei giocatori, di crescita esponenziale del settore giovanile. Seminato pronto a germogliare, se si evita di strapparne le radici per la frustrazione dell’attesa.

Rivoluzionare per rabbia vorrebbe dire ricominciare nuovamente da zero, e chi dice che farlo assicurerebbe proprio quei fattori sopra citati? Chi dice che altri 10 giocatori, un altro direttore ed un altro allenatore assemblati equalizzino la vittoria del campionato? Tutto incerto, eppure nel grigiore se sfogliamo le fotografie della stagione del Benevento notiamo che le prime fondamenta dalle quali ripartire già ci sono. Nel leggere forse non ve ne siete accorti, tornate sopra di qualche rigo. Partiamo da Pasquale Foggia, un giovane dirigente con tanta ambizione. Pochi mesi son bastati a dimostrargli che non bastava metter dentro un ex Milan per trascinare, semmai quella “presunzione” metteva a repentaglio qualche equilibrio, a partire proprio dall’allenatore. Ma è lo stesso dirigente che ha fatto un mercato con il bilancio societario tra le mani: Volta con Lucioni, Montipò e Tello con la cessione di Brignola, l’intuizione di Caldirola, un giovane da modellare (Goddard) ed uno pronto ad esplodere, Dejan Vokic. Cristian Bucchi è stata la scelta che per caratteristiche garantiva la maggiore continuità a Roberto De Zerbi. Per l’ex Perugia non è stato affatto semplice. Il costante sentirsi sotto esame per silenti obiettivi, seppur in linea con quelli annunciati. L’eredità di gioco proprio del collega bresciano, il continuo paragone con un’annata irripetibile guidata da Baroni. Dentro lo scotto della retrocessione da lui ereditata, così come qualche situazione interna. Le situazioni dei vari Puggioni e Nocerino, ha dato spazio a Billong da aziendalista, poi si è ritrovato Costa. Tra le mani un gruppo variegato dalla presunzione di alcuni, le scorie di chi era sceso e magari anche di qualche malumore di chi quella Serie A avrebbe potuto ancora giocarla con qualche altra maglia. Ha provato a modellarli con le sue idee, all’inizio sembrava andare bene, poi è uscita fuori la labilità mentale di un gruppo ancora da formarsi. Ha fatto un passo indietro, messo da parte la sua filosofia, per far di necessità-virtù, in un periodo dove l’infermeria era più affollata del campo di allenamento. Dieci risultati utili consecutivi, secondo posto alla portata ed eccola lì, di nuovo quella scarsa tenuta mentale della squadra. Ha cambiato di nuovo, riprendendo di nuovo le sue idee, stavolta con una veste diversa. Ne sono venuti ancora fuori, un po’ ad intermettenza e con i gol di troppo incassati dietro. La gara col Cittadella, in fondo, non è stato altro che il frutto di quei nove mesi, proprio come la gestazione. Ma il bambino non nasce mai maturo. Sta crescendo, va nutrito ed allevato.

Apparentemente blasfemia. Confermare l’allenatore sarebbe la scelta più impopolare, ma quella con meno incognite. Quella che permetterebbe di dare continuità, di ripartire dal lavoro costruito, da quell’intelaiatura con difficoltà individuata, ma pur sempre assemblata nel corso dei mesi. Cambiare la guida tecnica non vuol dire per forza migliorare. A Bucchi è stato chiesto di cominciare un progetto, di guidare una squadra da modellare. Tentare la A, ma senza assilli. Provarci. In fin dei conti tra alti e bassi l’ha fatto, il problema è come ha chiuso. Perché la chiusura è l’ultima immagine, quella che ormai abbiamo impressa, ma può cancellare tutti gli altri scatti nell’album?

Eh no, retrocedere dalla A non vuol affatto dire avere il pass di diritto per tornarci. Vuol dire però fare esperienza, vuol dire blasone e crescita. Bruciare i tempi può far scottare, anticiparli può entusiasmare, essere in linea permette di programmare. Dopo averla assaggiata la Serie A, il Benevento continua a costruire dalle proprie basi. Da un settore giovanile in crescita, che possa immettere valori nel sistema calcio. Un club che possa autosostenersi, evitando inutili rincorse in una serie dove è difficile stare con i giganti se non sei grande abbastanza. Non grandissimo, ma almeno abbastanza. Un campionato dai piani alti vale crescita ed esperienza, ripartire dalle certezze costruite, cercando di migliorare le parti traballanti. Il primo passo sarà proprio sciogliere il nodo allenatore ma, che Bucchi resti o vada via, i primi 12 mesi lasceranno qualcosa che il futuro si ritroverà. Chi c’era sa cosa gli aspetterebbe, a chi arriverà poco tempo per capilo… 

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