De Luca e Zaia, ore cruciali per la loro personale crociata sul terzo mandato da Governatori. Campania e Veneto nel mirino di Palazzo Chigi dove domani si riunisce il Consiglio dei Ministri entro la data del 10 gennaio, termine ultimo per il Governo per presentare il ricorso all’attenzione della Corte Costituzionale avverso alle leggi regionali che aprono al terzo mandato dei governatori. CdM che ribadirà lo stop alle velleità dei due presidenti in base al ricorso che i ministri Calderoli e Casellati presenteranno per impugnare le rispettive leggi elettorali.
E’ una faccenda politica, senza girarci troppo attorno. Salvini, dopo essersi salvato dal processo a carico, dovrà accettare la linea politica del Governo e mollare le velleità di Luca Zaia; non voterà in CdM il provvedimento ma appare più una foglia di fico nei confronti del suo elettorato veneto, di certo assai esacerbato, che un vero e proprio atto di sfida al Governo.
De Luca, dal canto suo, sa già che oltre al Governo ha contro ciò che si può ancora definire il suo partito. Il Pd resta fermo sulle sue posizioni di totale contrarietà ed ora è un altro pezzo da 90, Stefano Bonaccini, a recapitare al Presidente della Regione Campania l’invito a desistere dai suoi propositi. “E’ necessario rispettare la legge”, dice l’ex presidente della Regione Emilia Romagna, “è opportuno garantire il ricambio della classe dirigente”.
Ma la questione è come dicevamo politica. A destra Fratelli d’Italia mira a conquistare spazi al nord, in Campania il PD va alla resa dei conti con De Luca che potrebbe pensare di dimettersi, anche se l’istituto delle dimissioni in Italia non è contemplato.
Elezioni anticipate per cogliere in contropiede tutti gli altri e costringere il Nazzareno a fare scelte assai complicate non prima di avere nominato però i vertici delle aziende ospedaliere e sanitarie. Una scelta che potrebbe però significare anche rinunciare all’apparato di potere di cui ancora dispone col conseguente suo indebolimento.
Oppure ancora trattare la resa e mercanteggiare una uscita di scena con l’onore delle armi, magari indicando di comune accordo una figura gradita a lui e al partito. Soluzione che non si addice al personaggio. I suoi pasdaran sono già nall’operta con le liste e sono pure convinti che non mollerà e che i voti li abbia lui e non il partito e che in questo lungo braccio di ferro chi rischia è proprio il PD. Il tempo per calibrare le mosse c’è, addirittura si ipotizza uno slittamento nel 2026 per tornare a votare. E allora non c’è che attendere gli sviluppi tra Palazzo Chigi e la Consulta per poi tracciare un profilo maggiormente definito della faccenda.