Il Senato della Repubblica ha dato il via libera al processo per diffamazione contro Carlo Calenda, in linea con la decisione già assunta dalla Giunta delle Autorizzazioni. La querela era stata presentata dal Sindaco di Benevento, Clemente Mastella, a seguito di un tweet pubblicato la scorsa primavera, in cui il leader di Azione aveva accostato l’ex Guardasigilli alla mafia. La votazione ha visto il centrosinistra esprimersi a favore del rinvio a giudizio, mentre il centrodestra ha scelto di astenersi.
Il procedimento contro il senatore Calenda riguarda il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell’articolo 595, comma 3, del Codice penale ed è originato da una querela sporta da Clemente Mastella presso la Procura della Repubblica di Benevento. La querela è stata poi trasmessa alla Procura di Roma per competenza territoriale, come illustrato nella relazione presentata in Giunta.
L’ex Guardasigilli e leader dell’Udeur ha contestato “il carattere diffamatorio delle affermazioni pubblicate dal senatore Calenda” il 3 aprile 2024 su X, Facebook e Instagram, riferendosi a un intervento di Calenda in risposta a un post di Emma Bonino su Facebook.
In particolare, la querela riguarda le seguenti dichiarazioni: “Non ha alcun senso portarsi dietro, sia pure per interposta persona, Cuffaro, Cesaro e Mastella. La cultura della mafia è l’opposto della cultura europea. Non ha alcun senso candidare in Ue chi è pagato da dittatori stranieri.
Chiamare la lista Stati Uniti d’Europa non può coprire personaggi e comportamenti che rappresentano l’opposto dei valori europei”. Mastella ha ritenuto queste affermazioni “lesive della propria reputazione, con particolare riguardo all’accostamento della sua persona e della sua storia politica alla mafia e a personaggi politici coinvolti in vicende giudiziarie per fatti di mafia”.
In Giunta, Calenda ha depositato una memoria per precisare che non intendeva definire “mafioso” Mastella, spiegando che “il riferimento alla cultura della mafia nelle dichiarazioni contestate atteneva esclusivamente alle vicende giudiziarie di Salvatore Cuffaro”. Ha inoltre sostenuto che le sue affermazioni rientrano nel perimetro di applicazione dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione.