L’azzeramento dei vertici del PD del Sannio voluto dal segretario nazionale uscente Enrico Letta. Un provvedimento che sconcerta e molto ma non accade nella totale imprevedibilità, vista la fortissima, asperrima polemica che si è aperta all’interno del monolite decariano da almeno un annetto e mezzo a questa parte e che è poi definitivamente deflagrata nella sciagurata campagna elettorale, con tutto ciò che sappiamo e con la ciliegina sulla torta del 7 ottobre, la delegittimazione dell’assemblea del partito con l’accantonamento della ex presidente Antonella Pepe. Un atto che la “nouvelle vague” del partito sannita, supportata dalla corrente vicina a De Luca e dal commissario regionale Boccia, ha inteso come un vero e proprio atto di guerra, la pervicace volontà del decarianismo più integralista di sopprimere il dissenso interno e di imporre le sue regole. Decariani che dal canto loro gridano alla proditorietà di un simile provvedimento, di cui attendono la ufficialità dei crismi, la violenza di un atto che, sostengono, inaudito perchè mina ab imis il concetto di sovranità territoriale. D’altra parte non fanno mistero di ritenere questo epilogo una sorta di agguato i cui mandanti vanno riconosciuti proprio nel duo Mortaruolo-Antonella Pepe e il seguito “de li seguaci loro” in combutta con i quadri dirigenti nazionali in procinto di lasciare il passo ad una nuova classe politica. Il colpo di coda velenoso di chi ha condotto il PD allo sfacelo elettorale e molto di più politico, sbagliando l’impossibile, ed ora riversa il suo livore sui presunti nemici interni. Un quadro che, sebbene ispirato dalla comprensibile rabbia per come sono andate le cose, il comportamento irriguardoso nei confronti di Umberto Del Basso De Caro, padrone incontrastato del partito negli ultimi quindici anni, una sorta di lesa maestà al cospetto del notabile non più allocato sui sacri scranni parlamentari, ritrae però una più che prevedibile nuova lotta per le investiture; c’è una generazione politica che ora, partendo dall’interno e godendo in modo autonomo dal Prius di riferimenti nazionali “motu proprio”, ne intende prendere il posto ma non è impresa semplice. La controparte assicura guerra senza quartiere anche se, al momento, sembra essersi isolata in un arroccamento strategico ma che non per questo è fine a sè stesso. Umberto lavora per Bonaccini ma per Bonaccini lavora anche il nemico De Luca che da Napoli osserva quanto accade in provincia ed è pronto a dare un nuovo colpo di maglio al Capataz dando un assessorato a Mortaruolo se mai si deciderà ad andare al rimpasto per calmare i bollori delle bande napoletane in cambio di sostegno al terzo mandato, lui novello “pasticciere”, come ebbe a rispondere l’ultima volta che venne da noi. Insomma, la situazione è logicamente caotica e tutti hanno la loro dose di ragione. Ce l’ha Giova, per esempio, e per Giova va da intendersi l’attuale segretario Cacciano, che è stato eletto da un consesso legittimato a farlo non più tardi di dieci mesi fa in quel di Molinara, è sempre bene ricordarlo. Il “filosofo” continua a chiedersi la motivazione politica di tutto questo e motivazione politica vera e propria non c’è. C’è la sua adesione al notabile che ora appare in una posizione di maggiore debolezza e ne paga le conseguenze. Troppo poco il tempo da segretario per andare a fargli le pulci, per affibbiargli responsabilità di sorta; egli è nel bel mezzo di una “crisi” politica, esautorato, non ce ne voglia nessuno, da un’azione in stile “sovietico”, una nemesi per lui che si professa assai distante da simili accostamenti ma ne è vittima in un partito, il suo, che si ispira alla socialdemocrazia. Poco ci è mancato che, caricato su di una autoambulanza, se lo portassero in qualche posto sperduto della steppa beneventana per “rieducarlo” e buona notte al secchio… Un pastrocchio sto PD e allora non c’è che augurargli il passaggio del guado e parafrasare Flaiano: la situazione è grave ma non è seria.