Arpac tiene botta e sulla questione dei pozzi contaminati e dei dati che ha prodotto non recede di un millimetro. L’Agenzia non rilascia dichiarazioni mediatiche ma stila resoconti e in quei resoconti si dice che sono stati ben quattro i superamenti dei limiti di legge, sia di contaminazione, il cui limite è 1,1 microgrammi per litro, che di idropotabilità valore massimo consentito 10 microgrammi per litro. L’enormità di sforamento del periodo tra il 15 e il 18 novembre è e rimane allarmante: 25 volte la contaminazione, quattro volte la potabilità. Corona, sabato alla manifestazione al Corso Garibaldi, è tornato a contestare i dati forniti da Mastella nella conferenza stampa del 19 novembre
Numeri che debbono indurre ad una riflessione seria anche perchè derivanti dall’ente pubblico cui si deve quanto meno concedere la credibilità delle verifiche, al netto di ogni eventuale errore che però non viene contemplato dalla relazione dell’agenzia. In più Arpac è del parere che si debba trovare un’alternativa ai pozzi di Pezzapiana attestata la irrecuperabilità di una falda contaminata in modo pressocchè irreversibile. E qui si innestano altre questioni. In primis dove trovare le fonti “altre”.
Corona e Altrabenevento spingono sul Biferno, visto che la condotta transita anche per via Mura della Caccia, a non più di 300 metri dai pozzi; il Comune punta su Solopaca e sulla enorme massa d’acqua di Campolattaro ma sono opere che saranno disponibili tra molto tempo e allora serve, dice Arpac, intensificare i controlli dell’Asl per evitare di ritrovarsi al cospetto di situazioni come quelle di metà novembre.
Non si smuove però la ragione di fondo che è quella della diversità di valutazioni tra Arpac-Asl e Gesesa-Acea che ancora permane e non dissipa le legitittime perlessità di 7 beneventani su dieci che si servono dell’acqua di Pezzapiana. Ognuno resta sulle proprie posizioni col Comune che non contribuise a creare un clima disteso ed anzi attacca a testa bassa chiunque sollevi un dubbio su di una questione che si trascina da almeno 4 anni, in buona parte passati a negare lo stato dei fatti.
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