Nella seduta di consiglio comunale di Altavilla Irpina il sindaco Mario Vanni ha aperto i lavori commemorando la figura del presidente Ciriaco De Mita. Ecco il suo intervento.
Sono sinceramente rattristato ma sento forte il dovere di rendere in questa sede una testimonianza alla memoria di un grande italiano e di un grande amico di Altavilla quale è stato il presidente Ciriaco De Mita.nRingrazio per questo tutti voi per la presenza e l’attenzione. Il consiglio comunale non è un condominio dove si litiga per interessi ma un luogo solenne che ha la responsabilità del governo dei processi di sviluppo del territorio, per usare un eufemismo caro al presidente e dove si può celebrare un momento storico per contribuire a rafforzare l’anima identitaria di una comunità.
Molti non sanno o non ricordano il grande aiuto dato dall’allora ministro dell’industria De Mita alle famiglie degli operai della SAIM, alla stessa SAIM e ad Altavilla più in generale nel periodo dei grandi licenziamenti e della crisi mondiale dello zolfo ed io perciò sento più forte il dovere di questa breve commemorazione.
In quegli stessi anni furono proprio gli amministratori locali, tra cui mio nonno, a rivolgersi a lui per l’insediamento della SAIM Laterizi, della CEP e della VAVID che pure hanno arrecato beneficio e sviluppo al nostro paese.
Per non parlare del fiume di danaro, delle infrastrutture viarie, degli opifici industriali e di tutte le opportunità di cui grazie a lui e ad una classe dirigente da lui guidata, l’Irpinia ed il meridione hanno potuto beneficiare.
Non è un caso che la stessa università sia stata trasferita da Salerno a Fisciano, paese, quest’ultimo, più prossimo alla provincia di Avellino.
Ricordo quando una folta delegazione di altavillesi, capeggiata da un giovane vicesegretario della locale sezione, fu presente ed inquadrata al tg 1 di Nuccio Fava, quel 5 maggio del 1982, quando De Mita fu eletto segretario nazionale del più grande partito della storia repubblicana italiana, la Democrazia Cristiana, in quello che fu un vero e proprio plebiscito presso il Palaeur di Roma. Erano gli anni del massimo consenso e tutti allora sgomitavano per posizionarsi al suo fianco. Aveva la capacità di animare le folle ed entusiasmare, soprattutto i più giovani, con i suoi ragionamenti acuti. E’ entrato nella categoria dei miti del tempo di Paolo Rossi e di Diego Armando Maradona.
Ha la responsabilità della mia passione politica e dell’impegno civico mio e anche di altri che mi hanno preceduto. Forse io sono rimasto tra i pochi a non avergli mai voltato le spalle anche in tempi difficili. Ha resistito alla furia che ha travolto la cosiddetta prima repubblica solo grazie alla forza ed allo spessore dell’uomo e alla consistenza del suo pensiero profondo.
Un legame si può definire solido se resiste alle tentazioni anche al costo di sacrificare la propria convenienza personale.
Non so questo concetto quanto possa valere in termini pratici, forse niente ma per me assume un valore inestimabile in termini etici e morali.
Gianni Agnelli che aveva di lui una forte stima tanto da scegliere l’Irpinia per l’insediamento di uno stabilimento della FIAT che pure ha dato, col suo indotto, opportunità di lavoro a tanti altavillesi, lo definì “l’intellettuale della magna Grecia”. Una espressione che sintetizza la figura di uomo dalla viva intelligenza, una rara caratteristica per un politico dei tempi moderni che arricchiva la sua dimensione umana, apparentemente burbera, a tratti severa ma imponente e carismatica. “Un attore morto sulla scena” che a chi gli evidenziava il suo lungo impegno politico, rispondeva: “perché non chiedete ad un poeta di smettere di scrivere poesie?”
Grande è il rimpianto che la sua scomparsa lascia nell’animo di noi tutti; così come vivo è il senso della mancanza per il suo spirito forte e libero che avvertono tuttora coloro che gli sono stati vicini ed hanno avuto il privilegio della sua amicizia. Grande curioso, innovatore, uomo di partito e di Stato: il presidente Ciriaco De Mita ha saputo raggiungere in ognuno dei campi in cui si è cimentato le vette più ambite. Fautore della pace intenzionale nei rapporti tra il presidente statunitense Roland Regan e quello sovietico Michail Gorbačëv ha visto da vicino la caduta del muro di Berlino e l’opera del grande papa Wojtyła.
Fu erede della stagione delle riforme istituzionali di Aldo Moro e per questo bersaglio delle brigate rosse nella cosiddetta strategia della tensione che gli portò via il suo braccio destro, l’accademico e senatore Roberto Ruffilli.
È stato un protagonista della storia dell’era repubblicana del dopoguerra. Seppe sottrarsi alla tendenza, sempre ricorrente tra gli intellettuali italiani, di rinchiudersi in un atteggiamento di sterile autosufficienza. Non si lasciò irretire dal piccolo cabotaggio e si misurò soprattutto con le grandi prospettive del futuro di cui ne coglieva le dinamiche con una non comune capacità intuitiva.
A lui si deve quella primavera palermitana che ha visto l’impegno politico di uomini come Sergio Mattarella. Non a caso Leoluca Orlando ha affermato che con lui “la lotta alla mafia è diventata una cosa seria”.
Apparve come l’homo novus capace di frenare la deriva del Paese, richiamando le forze politiche tutte al senso di responsabilità. Fu quella senza dubbio l’esperienza più straordinaria della sua vita. Si dedicò con entusiasmo al tentativo di trasformare le proteste in riforme. Quando prevaleva la politica del tirare a campare fu il solo ad avvertire l’angoscia per la crisi politico-istituzionale, tuttavia rimase saldo ai suoi ideali, senza mai perdere la speranza e senza mai cedere all’amarezza per le tante delusioni dovute alle beghe di palazzo.
Aveva la consapevolezza dell’insegnamento ricevuto dai grandi uomini del cattolicesimo popolare, che furono costante punto di riferimento per la sua parabola politica ed esistenziale. Ad Alcide De Gasperi, riconosceva il merito principale della ricostruzione post-bellica e della collocazione europea ed atlantica dell’Italia, ravvisando nell’esperienza del primo Presidente del Consiglio democratico cristiano la definitiva saldatura con la nazione del movimento cattolico ed il riconoscimento della sua capacità di governare il Paese. Da Sturzo, De Gasperi e Moro trasse la lezione della responsabilità del consenso e l’intransigenza sui grandi principi ideali; il senso della politica come missione. Furono questi i grandi riferimenti ideali che ne alimentarono la straordinaria capacità di essere uomo di parte e, insieme, uomo delle istituzioni.
Egli era consapevole che i partiti avevano innervato la democrazia in Italia nel secondo dopoguerra, mentre era stata la loro debolezza ad avere precedentemente aperto la strada al fascismo. Credeva dunque nei partiti, così come nella possibilità che essi potessero autorigenerarsi, a condizione che si mantenessero fedeli al loro ruolo di interpreti insostituibili delle istanze dei cittadini ed evitassero di rinchiudersi nelle dinamiche sterili interne ai gruppi dirigenti o alle correnti. E’ un esempio a chi ha deciso di dedicarsi alla vita pubblica, un patrimonio prezioso di valori che debbono essere non solo preservati, ma praticati quotidianamente nella difficile ricerca del bene comune. Sono i valori del dialogo, che egli seppe praticare superando gli steccati fra laici e cattolici che la storia aveva eretto, in uno spirito di reciproca e positiva comprensione; della ricerca della mediazione, da esercitare nel rispetto delle diverse posizioni politiche, ma nell’intento di servire prima di tutto la Repubblica. In un’epoca di falsi miti e di millantate certezze, non si tratta di cosa da poco.
Nella comunità locale vi è racchiusa la ragione ultima dell’impegno civile in cui De Mita ha creduto e per cui ha vissuto e che ha contribuito a rendere migliore l’Italia e più liberi gli italiani. E’ un impegno al quale debbono guardare con attenzione e con rispetto coloro i quali ritengono di poter liquidare la cosiddetta “Prima Repubblica” in un giudizio sprezzante, tutto al negativo e senza appello. La figura e l’opera di uomini come il presidente De Mita – la loro vitalità, la loro inestimabile ricchezza di pensiero – sono la risposta più chiara ed eloquente ai commentatori improvvisati. Una risposta che evidenzia quanto taluni giudizi siano superficiali ed ingenerosi e quanto il Paese abbia ancora un grande bisogno di uomini come lui per orientare con sicurezza verso il futuro il proprio cammino di democrazia, di libertà e di pace.