O tempora, o mores…che tradotto sta per visti i tempi, visti i comportamenti. I latini utilizzavano questo modus dicendi per sottolineare la deriva dei costumi in una determinata stagione della storia e della vicenda umana. Oggigiorno, ci sarebbe l’imbarazzo della scelta. Allora prenderemo a modello l’ormai diffusa (cattiva) abitudine dei rappresentanti delle istituzioni, ai più alti livelli, di andare in visita, nell’esercizio delle loro funzioni, presso privati, a casa loro tanto per intenderci. Da noi è capitato più di una volta negli ultimi tempi. Con il Premier Gentiloni, per esempio, che per sincerarsi degli effetti dell’alluvione del 2015 pensò bene di andare a casa di un noto industriale della pasta e li tenere il suo intervento. O come il Ministro degli Esteri Di Maio, che se ne va a Guardia Sanframondi ospite di una importante Casa vitivinicola asserendo di essere li in forma non istituzionale ma come esponente di punta di un partito, il suo, e per questo esente dalle etichette e dai doveri del suo status. O come la Signora Bellanova, Ministro dell’Agricoltura, per ben due volte nel Sannio negli ultimi 8 mesi, la prima ad una convention organizzata dall’Università e da una banca, la seconda in veste di esponente di un partito politico di nuova formazione. In ultimo il Presidente della Camera Fico, in visita a Buonalbergo un paio di sabati fa, anche lui in forma privatissima; pare che la sua compagna faccia la fotografa e lui la accompagnasse. Peccato, che se da un lato lui era li da comune e privato cittadino non così la scorta e la Digos che invece lavoravano alla salvaguardia del personaggio pubblico e non del Fico privato. Quello che sconcerta è che nessuno di questi personaggi, citiamo loro ma la lista sarebbe lunga, sia dell’opinione di esercitare una funzione permanente, che non conosce pause e separazione tra ciò che è privato e ciò che è pubblico, pur nel rispetto della privacy che è sacrosanta per tutti, e sconcerta che nessuno di loro abbia mai varcato la soglia della nostra Prefettura, l’unico posto dove sarebbero dovuti andare in ossequio alla scritta che campeggia sul frontespizio del palazzo giallo. Li, nessuno li ha mai incrociati, eppure quando un ministro o un Capo di Governo si muove e va in provincia è li e solo li che dovrebbe recarsi ed essere omaggiato dal Prefetto e dalle autorità civili, militari e pure religiose, nonché dal mondo dell’economia e delle imprese. E invece no. Ora se tu cronista vuoi fare qualche domanda, sempre ammesso che te la lascino fare, devi andare dappertutto tranne che a Corso Garibaldi; vai nelle tenute dove si mangia bene e si beve meglio, orazianamente parlando si intende, ma non sperare di vederli altrove: passeresti per essere demodeè e sostanzialmente una cariatide che va appresso alle etichette e ai formalismi d’altri tempi. Ma la forma è pur sempre sostanza e a certi livelli conta eccome, così come conta che un sottosegretario agli Esteri si guardi bene dal confondere un libanese con un libico e si rizzeli che qualcuno glielo faccia giustamente notare. I movimenti, partiti bene ma arrivati maluccio, ci hanno arricchito di ciucci e non ne sentivamo affatto il bisogno. E allora, una volta tanto, “semel in anno licet insanire”, ci tocca evocare il Mastella ministro di Giustizia che prima di andare incontro al suo momento politicamente peggiore e non solo politicamente, ebbe l’idea di invitare a Benevento il suo omologo azero che lui apostrofò azerbaigiano ma è un dettaglio. Ebbene il Ceppalonico ebbe il “coraggio” di riceverlo in Prefettura, avete capito bene, rispettando tutte le etichette che il ruolo imponeva compreso il red carpet. Non se lo portò a casa sua a mostrargli la famosa piscina o se lo fece fu in modo molto discreto e di certo senza invitare la stampa nella sua dimora avita. Ora, citare Mastella come esempio di correttezza istituzionale è operazione che prevede una certa preparazione di base per chi scrive e questo sproloquio non ha alcuna intenzione di invertire la tendenza perché si sa bene che il prossimo ospite romano dovremo intercettarlo tra la cucina e il salotto della magione di qualche industriale o sodale di partito. Per l’ultimo giapponese rimasto a combattere resterebbe l’unica arma a disposizione: declinare l’invito e non andarci. Andatelo a spiegare poi a direttori o sedicenti tali e ancor di più agli editori: rischiereste il posto, per chi ce l’ha veramente, e la corale loro commiserazione.