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Benevento| L’insostenibile leggerezza del non essere

Benevento| L’insostenibile leggerezza del non essere

12 Giugno 2020 | by Enzo Colarusso
Benevento| L’insostenibile leggerezza del non essere
Politica
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Ancora qualche riflessione sulla polemica interna fra Raffaele Del Vecchio e la nomenklatura decariana.  La vasta eco che ha suscitato l’incrocio di lame dei giorni passati parrebbe lasciare il posto ad un più saggio ridimensionarsi della querelle, anche perchè a pochi interesserebbe sapere perchè il PD abbia perso Palazzo Mosti quattro anni fa nel momento in cui dovrebbe invece preoccuparsi di come riconquistarlo, sempre che ne abbia davvero la volontà. Eppure, quelle convulse giornate del giugno 2016 non sono state metabolizzate a dovere. Non è stata fatta un’analisi completa delle ragioni che condussero alla sconfitta, non è stata sviscerata l’origine prima di una catastrofe elettorale che ha aperto al quinquennio mastelliano, uno dei più anonimi della storia cittadina. I De Caro Boys accusano Raffaele di essere l’unico responsabile e di essersi prodigati allo spasimo per sostenerlo, anche in presenza di una sua palese incapacità al ruolo. Lo accusano di avere prodotto una perdita di consensi personali tra primo e secondo turno clamorosa, di essere stato l’apripista dei successivi rovesci alla Provincia e in generale delle sfortune del partito. Dal loro punto di vista una disamina legittima. Come è legittimo chiedere come e perchè arrivarono alla comune decisione di sceglierlo in qualità di loro portacolori. Nella serata del President il “Nume” De Caro arringò la sala presentando, alla sua maniera, Mortaruolo e Del Vecchio come i “giovani leoni” su cui si sarebbero appuntate le “magnifiche sorti e progressive” del PD di domani e nessuno osò contestarne l’assunto, naturalmente.

Del Vecchio, probabilmente, non aveva e non ha il piglio, il phisique du rol, del conducator. Troppo arroccato nelle auree atmosfere della Fagianella, non è nelle sue corde scendere nelle corride del Rione Libertà oppure del Triggio. Chi, tra i notabili decariani, può dire di non averlo mai saputo? Probabilmente, la sua scelta assolve ad altre motivazioni che stanno in capo a questioni tutte interne ai rapporti, ormai finiti, tra Nino e Umberto, forse. Proprio per questo la sua candidatura avrebbe dovuto essere “protetta”, se proprio pare la si volesse, dissociata per tempo dalla incombente presenza di Fausto Pepe, “il gran nimico” del Capataz, almeno in quegli anni. Strategicamente, andava consigliata una sua uscita di scena da vice e costruita, con almeno due anni di anticipo, una sua autonoma figura da proporre alla città. Si può dire che avrebbe sempre e comunque scontato il decennale faustino ma era l’unica strada percorribile per affrancarlo da una stagione politica al capolinea, bocciata in pieno dalla città. Non fu fatto, e si consumò, in quella convulsa stagione, l’assurda commedia della discontinuità con il passato diventata poi, d’amblè, continuità dopo le primarie pretese e ottenute dai Leali. E allora si ripropone la domanda: perchè la nomenklatura lo scelse? E perchè ora affidare all’onesto Galdiero l’onere, impervio, di “guastatore” per affossarlo quando si sa bene che l’estensore della reprimenda è da ricercare altrove. Il PD sannita non ha nulla di comunista, cosa di cui va fiero bontà sua, ma assume, di tanto in tanto, gli atteggiamenti deteriori di Botteghe Oscure. Quello di trincerarsi dietro a documenti feroci vergati da figure di secondo piano, sia pure valide, è uno di quelli.

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