Esiste una parola, nel vocabolario della politica, che esprime in modo articolato il prevalere del carisma personale sulla capacità dei partiti di esprimere l’indirizzo politico di cui sono portatori sani. Questa parola è cesarismo. Etimologicamente significa velleità delle singole personalità di assumere un potere personale svincolato dagli agglomerati politici cui appartengono, una capacità di ergersi in una situazione di sostanziale omogeneità finalizzata a decomporre la fase di stallo da cui doversi sottrarre. Nel corso della storia molti sono stati i “cesari” che, con alterne vicende, hanno saputo imporre la propria personalità, con esiti non sempre particolarmente fausti. Essi però sono apparsi determinanti, i cesari, per invertire una tendenza stagnante. Se prendiamo la situazione politica italiana degli ultimi 25 anni è facile capire come alla forza trainante e centrale dei partiti si sia sostituita quella carismatica delle singole figure, e come queste abbiano fondato addirittura partiti a propria immagine e somiglianza dandone connotati liquidi, dove i quadri intermedi venivano sostituiti dalla presenza tetragona dell’uomo forte. Facile pensare a Berlusconi ma la tendenza non parte da lui. Prima del Cavaliere ci aveva pensato il suo mentore Craxi a compiere l’assoggettamento del partito alla statura del capo e a rompere quella egemonia degli apparati sul dinamismo delle singole particolarità e prima ancora il notabilato postunitario, che ancora non conosceva la struttura di partito come l’abbiamo intesa dal secondo dopoguerra in avanti, fatte le debite eccezioni. Ora, la crisi attuale dei partiti è figlia dell’esigenza di semplificare e snellire gli apparati di cui sopra, anzi di eliminarli del tutto, facendo un’operazione di collegamento diretto tra il cesare e il popolo cui si rivolge. Non c’è più bisogno di intermediazione e le nuove tecnologie hanno reso questa deriva ancora più veloce. Oggi un personaggio politico, sindaco o presidente di regione o un segretario, fate vobis, non parla più attraverso i canali di partito ma tramite un post, più diretto e di sicura presa, scavalca la ritualità delle elaborazioni meramente politiche e quel che è più preoccupante sfrutta linguaggi diretti, maggiormente comprensibili per un uditorio regredito sul piano dell’istruzione per non parlare della cultura. In questo strano periodo di emergenza si è affermata, in modo, incontrovertibile, l’agonia finale dei partiti come noi li abbiamo intesi fino ad ora. La crisi è al suo stadio più acuto e prevalgono i singoli. Il dualismo, nel caso campano, tra De Magistris e De Luca ne è un esempio e a Benevento l’occupazione della scena pubblica di Mastella è ormai totale. Gli altri sono scomparsi. Il PD ha un leader che è latitante da mesi, Forza Italia non da segno di se, Fratelli d’Italia vive sulle rare sortite di Paolucci, del 5Stelle si sono perse le tracce e i tanti parlamentari di cui dispone attendono il Godot di turno per esprimere una posizione degna di nota. In tutto questo disorientamento primeggia il Cesare, che non sarà all’altezza della pesante definizione, ma rappresenta l’istanza di “uo