Se ne occuperà il Consiglio dei Ministri, che tornerà a riunirsi lunedi dopo molto tempo. Parliamo della data delle elezioni regionali, la politica non si è mai fermata neppure durante la fase più critica dell’epidemia che, per altro, non è ancora passata. Ma esiste sempre la reapolitik, quella che Bismark elevò a rango di scienza strategica all’epoca della Belle Epoque e che la Germania “guglielmina” smantellò pagandone un prezzo altissimo nel 1918. Scendendo di livello si potrebbe ipotizzare che l’appuntamento con le urne si possa collocare tra luglio e l’autunno, anche fino a dicembre, prevedendo, a spulciare tra le bozze del decreto che il Governo dovrà elaborare lunedi, uno slittamento di tre mesi per quelle regioni che sono in scadenza di legislatura. Da noi, così come nel Veneto e in Liguria, appare assai lapalissiano che De Luca, cui va dato atto di avere gestito con mano dura e intransigente il decorso della crisi fino a questo momento e di avere sostanzialmente governato non male la Regione più turbolenta d’Italia, voglia passare all’incasso politico. Da personaggio in cerca di coalizione è ora lui che detta il gioco nei confronti di quei partiti, semiscomparsi, cui può imporre le nuove regole. E come lui i governatori Zaia e Toti, vale a dire quelle zone del Paese dove l’epidemia ha fatto molti meno morti dei loro colleghi lombardi, piemontesi ed emiliani. Il Governo lascerebbe ai tre la possibilità di decidere, riservandosi solo la possibilità di consigliare un election day unico per tutte e tre le regioni. In più si potrebbe anche unire il referendum sul taglio dei parlamentari e chiudere la partita. De Luca sa molto bene che prima si va alle urne e prima stravince; è solo questione di tempismo perché più tempo passa e più si affievolisce l’onda lunga “caudilla” che è diventata anche un simpatico, si fa per dire, mantra mediatico: la gente, che in questo Paese non ha mai smesso ammirazione per “l’uomo forte”, fa presto ad abituarsi al cambio dei tempi, anche se questo passa attraverso la limitazione netta di democrazia. E tuttavia, i tre hanno dalla loro l’arma possente e sufficientemente mediatica della sicurezza della salute pubblica e chi mai sarebbe in grado di contestarli platealmente? Insomma, sto virus ha scombussolato gli equilibri e dato nuova linfa a personaggi in evidente difficoltà. Metti Mastella. Un mese e mezzo fa si dibatteva tra “accozzaglie di accattoni”, quelli che ancora aspettano un passaggio consiliare per capire cosa sia successo e per contarsi, ed ora è l’unico a comparire sulla scena. Il resto è scomparso e c’è da giurare che, se ha davvero ambizioni di restare sulla tolda di comando, si stia mangiando le mani per non avere mantenuto il piglio delle dimissioni se solo avesse saputo come sarebbero andate le cose. Magari anche lui sarebbe andato alle urne insieme all’ormai inseparabile De Luca e buona notte al secchio. Ma la palla di cristallo non ce l‘ha nessuno, altrimenti non si farebbero cose di cui pentirsi, in tutti i settori della varia umanità. Staremo a vedere come andranno le cose. De Luca non è il male assoluto e chi gli si opporrà dovrà sostenere una battaglia improba, sempre ammesso che faremo una campagna elettorale qual si voglia. Come sarà? Mah, lo scopriremo solo vivendo, magari in videoconferenza…