Benevento – In un paese “normale” Gabriele Corona avrebbe ragione.
Ma l’Italia non è un paese normale, e probabilmente non lo sarà mai. Passa di anomalia in anomalia. Eppure c’è un sottile filo rosso rinvenibile nella storia degli ultimi trenta anni, che vediamo dipanarsi da quando Bettino Craxi e Giuliano Amato posero il problema della “grande riforma” (1979). Ebbene, l’idea che le secche della democrazia italiana si superassero rafforzando l’esecutivo ha attraverso come una pulsione sotterranea tutta la storia recente, ripresa prima da Berlusconi e ora da Renzi. Inutile dire come, a mio avviso, sia sbagliata l’analisi storica da cui è nata tale proposte nelle sue varianti che hanno in comune una profonda diffidenza nei confronti del Parlamento, che rallenterebbe o bloccherebbe le capacità decisionali. La storia italiana, purtroppo, al di là delle agiografie, mostra come tale spinta alla democrazia, che spesso diviene “autoritaria”, sia presente sin dall’inizio della storia dello Stato, trovando una prima incarnazione forte nei governi Crispi e nei tentativi di emulare la Germania guglielmina di fine Ottocento e rinasca nel e col fascismo.
Dicevo: l’Italia non è un paese normale. Il referendum costituzionale non è uno dei tanti appuntamenti elettorali cui siamo chiamati bensì la chiave di volta della politica italiana dei prossimi anni. Si tratta di decidere se quella lettura di Craxi e Amato fosse giusta o meno. Se il problema dell’Italia è veramente un Parlamento incapace di decidere in tempi celeri o ben altro. Se la giovane Costituzione italiana è già da rottamare o meno.
In un paese normale non si oscurerebbero le ragioni di una parte nei media “controllati” dallo Stato. Mi chiedo con quale coraggio anche i rappresentanti locali del PD invochino una sorta di “par condicio” con il “morto in casa”. Diciamo che avrebbero tutte le ragioni del mondo se Renzi avesse dato ordini ai suoi uomini in RAI di rispettare tutte le posizioni in campo. Ma poteva farlo, considerando che si sta giocando il suo destino politico, avendolo improvvidamente legato alle sorti del referendum, malgrado i goffi tentativi di rimangiarsi la parola data? Quando il gioco si fa sporco è inevitabile giocare sporco. Oppure, come ama dirsi dalle nostre parti: a brigante brigante e mezzo.
In un paese normale sarebbe sbagliato che un giornalista schierato per il No potesse intervenire in una rassegna pubblica a perorare la causa di una parte. Ma, come dicevo, non essendo l’Italia un paese normale, e trovandoci in un momento in cui è in discussione, letteralmente, la “salus rei publicae”, ritengo che sia cosa buona e giusta che Marco Travaglio ci sia a Piazza Roma il 31 a persuadere gli indecisi, a far riflettere i distratti. Ci saremo anche noi del M5S.
Le secche della democrazia non si superano con una “democrazia decidente” (l’espressione è di un altro rappresentante del filo rosso su evocato, Luciano Violante) ma attraverso una democrazia partecipata.