BENEVENTO- Di tutti gli interventi succedutisi ieri sera in quel del President, quello di Peppe Pagliuca, storico dirigente della Uil e decariano doc, è parso agli astanti il più pregno di pathos, il più sanguigno e per molti aspetti il più aderente alla reale contingenza dei fatti. Il Peppe salito sull’ambone del palco ha sciorinato con precisione millimetrica le ragioni di una sconfitta e lo ha fatto molto meglio di tanti che all’interno del PD vanno per la maggiore in fatto di facondia, lignaggio politico e tradizione familiare. Tralasciando la forma, Pagliuca il medio, ha affrontato la tematica della sconfitta parlando al cuore del distillato non risparmiando strali acutissimi alle eminenti personalità non accomodate al di la del banco presidenziale. Con linguaggio asciutto e diretto ha snocciolato le ragioni della debacle. E ha detto, senza troppi giri di parole, che fare la campagna elettorale questa volta è stata tra le imprese più ardue in assoluto, tra la diffidenza della gente e la poca voglia di votare Del Vecchio. E ha anche tracciato quelle che a suo avviso dovrebbero essere le linee guida della transizione a quei palati fini assiepati tra le spoglie sedie dell’albergo di via Perasso. “Cambiare, tornare a parlare alla gente”, ha detto con modi spicci e assai esaustivi. Ora, al di la della prosa improbabile, Peppe Pagliuca non ha avuto esitazioni ad affondare il coltello nel ventre molle di un PD che probabilmente non ha ancora preso coscienza del lutto che si è abbattuto sulle proprie postazioni. Ha detto quello che pensa la maggior parte degli adepti e in più se ne è fatto carico a modo suo. Sarebbe stato da oscar se avesse coinvolto nel suo vernacolare anche il nume tutelare, quel De Caro che assiepato dietro le piante del Maxim teneva fede al giuramento del Cattaneo, quello di tenersi in disparte, novello Epicuro, dalle passioni di un partito cittadino che ha comunque diretto a distanza. Umberto c’è, come dio sui piloni delle autostrade, ma questo è parso palese a tutti. Lui che a prescindere dalle affermazioni di autoassoluzione pare responsabile quanto e più degli altri della catastrofe elettorale. E a poco serve citare le liste e i voti di coalizione che avrebbero tirato a dispetto di Raffaele. Resta sullo sfondo l’isolamento del partito a Napoli e a Roma in un momento delicato con l’estate che separa l’autunno caldo dal referendum costituzionale. E li convien che si balli.