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Bettina Tozzi, una vita in cammino per i sofferenti nell’amore incondizionato a Cristo

Bettina Tozzi, una vita in cammino per i sofferenti nell’amore incondizionato a Cristo

17 Settembre 2024 | by redazione Labtv
Bettina Tozzi, una vita in cammino per i sofferenti nell’amore incondizionato a Cristo
Cultura
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Riceviamo e pubblichiamo un pensiero sulla vita di Bettina Tozzi a cura di Giuseppe Genovese

Camminare, sempre! E’ l’invito posto sulla copertina di un recente libro che parla di questa attività squisitamente umana nelle sue diverse accezioni. Spirituale, fisico, mentale, sociale, il cammino di Bettina Tozzi è caratterizzato da tutte queste qualità, perciò tra coloro che l’hanno conosciuta ella è nota come la “camminatrice del Sannio”.

Quando abbiamo scoperto, per caso, durante una vacanza estiva nell’alto Sannio, la figura di Bettina Tozzi, siamo rimasti affascinati da questa donna, vissuta a cavallo tra il Novecento e i primi anni duemila; ella dedicò la sua vita ad alleviare le sofferenze di coloro che le stavano intorno per amore del Signore e sull’esempio di tanti santi e servi di Dio.

Siamo riusciti a contattare il fratello, il dott. Domenico Tozzi, medico, che ci ha raggiunti, da Reino a Santa Croce del Sannio. Felice e a tratti commosso, perché un gruppo di nuovi amici si interessasse a sua sorella, figura sinora poco conosciuta.

Benedetta Tozzi, chiamata da tutti Bettina, nacque nel 1935 a Reino, in provincia di Benevento; fu una donna dotata di una personalità forte e determinata, votata all’amore di Cristo e al seguire con rigore l’esempio di San Francesco d’Assisi. Una donna che potrebbe sembrare d’altri tempi, intrisa di una profonda religiosità, con un rapporto intenso con il Signore fatto di preghiera, penitenza e servizio al prossimo. Per le sue caratteristiche spirituali e personali Bettina è un esempio di credente da studiare a fondo, soprattutto in un mondo scristianizzato, secolarizzato e votato al relativismo più spinto, come tante volte denunciato da Benedetto XVI; un modello di vita che è sempre più raro ritrovare oggi.

Le notizie biografiche e gli aspetti caratteriali e personali vengono qui desunti da un illuminante testo scritto da Monsignor Pasquale Maria Mainolfi, illustre studioso e docente di materie teologiche. L’introduzione al volume è stata curata da Davide Nava, grande estimatore di Bettina Tozzi.

La caratteristica che contraddistingue la vita e l’opera di Bettina è il mettere in pratica l’aiuto al prossimo con mezzi poverissimi, utilizzando le sue energie senza risparmio.Ella è nota anche perché svolgeva la sua opera per le contrade del Sannio e poi nella città di Benevento sempre a piedi e senza indossare calzature, in ogni stagione e con ogni clima.

Bettina ebbe da sempre una particolare inclinazione alla consolazione di coloro che soffrivano e in gioventù maturò il desiderio di prendere i voti. Una visita a San Giovanni Rotondo, in occasione dei funerali di Padre Pio da Pietrelcina nel settembre del 1968 fu, probabilmente, l’evento decisivo che spinse la giovane ad entrare in convento.

Dopo aver rinunciato a ben tre proposte di matrimonio, Bettina riuscì a convincere il padre a consentirle di iniziare il cammino per diventare monaca. Dopo varie peregrinazioni, la giovane giunse, nel 1980, al convento delle Clarisse di Fiesole dove effettuò la sua prima professione valida per tre anni.

“Intanto, scrive monsignor Mainolfi, Bettina consuma il suo travaglio interiore perché comincia a comprendere che la sua spiritualità non è di quelle che si consumano in un rigore monastico, bensì in un sacrificio costante da offrire a Cristo per essere in comunione con Lui nella sofferenza tesa alla conversione dei peccatori. Ma il profondo desiderio di povertà e di servizio verso i peccatori e i sofferenti, sull’esempio del Poverello di Assisi, si scontrò ben presto, sembra strano a dirsi, con le regole rigide della vita monacale.

L’ originalità di Bettina, tutta da studiare e valutare, consisteva nel desiderare di condurre una vita più rigida e severa di quella imposta dalla stessa regola monastica. Ella, infatti, offriva a Dio sacrifici aggiuntivi, mortificando il proprio corpo e la propria persona. Chiedeva dapprima di nutrirsi degli avanzi delle consorelle, poi solo di pane e acqua, infine rifiutò il guanciale sostituendolo con un tronco di legno. La superiora, e in seguito il Vescovo, la ripresero più volte e le imposero di rispettare le norme facendo appello al dovere di obbedienza ai superiori. Ma Bettina, convinta di onorare Dio con tutte le sue forze, non obbedì e continuò nella sua vita piena di sacrifici. In seguito ad una visita medico-specialistica, richiesta dalla superiora, le venne ipotizzata una “probabile condizione psicotica” con “spunti deliranti di tipo mistico” causati da “esperienze percettive abnormi”.

Da qui si potrebbe iniziare a studiare approfonditamente il caso di una mistica non ancora adeguatamente conosciuta. A proposito di quella diagnosi infausta le parole di Monsignor Mainolfi vanno ripostate fedelmente: “la novizia, aveva forse fatto riferimento a visioni, a colloqui mistici? E le ‘esperienze percettive abnormi’ sono forse colloqui diretti con Cristo?” Egli sostiene che, da credenti e gerarchie, ci sarebbe da aspettarsi “una comprensione migliore di fenomeni che la scienza non riesce a spiegare”.

Quell’ ostinazione, però, procurò a Bettina, su disposizione del Vescovo, l’allontanamento definitivo dal convento. La giovane quindi tornò a Reino presso la propria famiglia.

A questo punto, Bettina, sull’esempio delle antiche beghine dei secoli passati, decise di vivere, pur senza essere diventata clarissa, seguendo la regola di San Francesco d’Assisi, compresa la scelta della povertà. Sul libretto di lavoro della donna, rilasciato dal sindaco di Reino, la qualifica, molto insolita, risultava essere “mendicante”.

Ella infatti aveva deciso anche di liberarsi dei suoi beni materiali provenienti dalla famiglia; alcuni, a tal proposito, testimoniano che, in occasione di una processione religiosa, distribuì al popolo il proprio denaro.

Iniziò quindi, a partire dal 1982, la fase della vita di Bettina della peregrinazione e della carità per cui viene ricordata come la camminatrice del Sannio. Una vita spesa nel portare la Buona Novella e ogni altro conforto possibile ai sofferenti della sua terra.

Bettina fu attratta, in particolare da un passo della regola del Santo di Assisi che recita “coloro che sono costretti da necessità possano portare calzature” . Ella quindi adattò a sé queste parole e decise di rinunciare alle scarpe come penitenza da offrire al Signore.Tornata a Reino iniziò il suo nuovo cammino tra i sofferenti del proprio territorio.

Vi sono testimonianze, tutte da valutare nelle sedi opportune, di sue visioni riferite sia alle anime del Purgatorio che alle tentazioni del Maligno.

Un ultimo punto di svolta nella vita di Bettina fu quando, in seguito ad un investimento, nel 1992, fu ricoverata all’ospedale civile “Rummo” di Benevento. Qui, appena ristabilitasi, cominciò a prestare attenzione ed aiuto spirituale agli ammalati e ai moribondi sempre muovendosi a piedi da un luogo all’altro tra l’ospedale e la città. Nel 2005 morì in seguito ad un’ischemia cerebrale.

Perché è degna di attenzione la figura di Bettina Tozzi? Perché è una donna vissuta tra il 1935 e il 2005, a cavallo tra il secondo e il terzo millennio, che ha incarnato un modello di vita diverso da quelli veicolati dal consumismo e dall’egoismo.

Riscoprire e far conoscere la vita di questa donna dandole l’attenzione che merita potrebbe essere uno stimolo ad iniziare un cammino di fede ma anche di amore laico verso il prossimo.

Pur se la sua vita presenta dei lati da chiarire, ella ha agito sempre sull’esempio di Cristo, morto in croce per l’uomo. Quello che non è pienamente trasparente potrebbe rivelarsi alla fine un aspetto degli insondabili disegni del Signore. La storia della Chiesa è ricca di episodi che inizialmente sembrano altro e poi alla luce della più corretta valutazione, ispirata dallo Spirito, hanno rivelato tesori di santità.

Per caratterizzare ancor meglio questa affascinante figura di credente, di donna dalla forte determinazione e con il più alto spirito di sacrificio per gli altri, valgano, ancora, le parole di Monsignor Mainolfi: “Chi di noi sarebbe disposto a percorrere, non dico chilometri e chilometri, ma anche solo qualche decina di metri, senza scarpe sul selciato o sull’asfalto di una strada pubblica? Nel piccolo gesto di viaggiare volontariamente a piedi nudi abita una testimonianza profonda. E Bettina ce l’ha data”.

L’auspicio che vogliono formulare queste brevi note è che la Chiesa possa “accorgersi” di Bettina, la camminatrice poverella di Reino e valutare attentamente la sua vita, al servizio dei sofferenti, nella luce più giusta a maggior gloria di Dio.

 

 

 

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