Lunedì 8 Novembre al ristorante Carter Oblio di Roma, Sabino Morano presenta il volume “Le origini dello spirito capitalistico in Italia” di Amintore Fanfani (1933) di cui ha curato la riedizione anastatica per la collana “Antibancor” delle edizioni di Ar. Al dibattito sull’opera prenderanno parte diversi ospiti tra i quali anche Ettore de Conciliis ed il professore Sergio Barile. Il testo, spiega Morano, rappresenta uno straordinario contributo per chi vuole ben comprendere ed approfondire le caratteristiche del modello di produzione capitalistico che è stato il protagonista assoluto delle dinamiche economiche occidentali nel tempo della modernità.
“Richiamare alla memoria gli autori trapassati della nostra comunità nazionale esprime la volontà di rievocarli – così si legge in una nota – di attrarli nel nostro tempo, di renderli presenti nel nostro spazio. È necessaria, questa operazione rituale: non solo per confermare rispetto verso chi, avendo contribuito a generare o promuovere la comunità, rimane membro (e partecipe delle funzioni) di essa, ma anche perché, custodendone noi il ricordo, attraverso questa cerimonia di ‘rianimazione’ facciamo rivivere accanto a noi chi sia stato, secondo distinti gradi di affinità, come noi, rinascere la sua esperienza accanto alla nostra, riconnettere la sua influenza alla nostra per rinnovarla e accrescerla. Ed è sopra tutto nei momenti di pericolo che una società di uomini, come Roma, nelle fasi critiche delle sue guerre, evocava i veterani per mobilitarli, deve rievocare le proprie guide passate, per chiamarle di nuovo al servizio del bene della comunità, a rinfrancarne lo spirito”.
Chi, per fissare la fisionomia (e qualche tratto fisiognomico) del capitalismo, abbia scrutato il Werner Sombart del Borghese e del Capitalismo moderno, oltre che il Max Weber dell’Etica protestante e lo spirito del capitalismo, proverà maraviglia a leggere – per indispensabile integrazione della trilogia – questo Amintore Fanfani delle Origini dello spirito capitalistico in Italia.
Maraviglia: per il rigore di studio comprensivo, edificante ed edificativo, per una architettura teorica chiara e coerente (che Nietzsche avrebbe definito “semplice e sincera, ovvero inattuale”) –per una scrittura oggi in comune sotto i molteplici riguardi etici, estetici, economici.
Se questa ammirazione verso l’opera, da parte dei lettori, viene da noi data per sicura, nemmeno escludiamo un effetto ausiliario della lettura stessa. Ovvero che qualcuno di loro –toccato dalla ‘folgore di Apollo’ in séguito a un raccoglimento, speculativo in senso proprio, che lo induca a interrogare l’Autore di ieri per farne sgorgare risposte efficaci a stemperare le tenebre di oggi–, anziché continuare a commettere “peccato di avarizia” e porre il suo “finem ultimum in lucro” e, da vorace, “guatare a’ danari“, ponga, in termini coerentemente esistenziali, le condizioni per “trapassare l’erma orribilmente devastata della vita pubblica del nostro tempo” e disgregare la signorìa di “statum damnationis” cui la modernità contemporanea ha assoggettato quest’ultima.
In breve: per restituire alla ricchezza la sua, intrinseca, sostantiva socialità, il suo, essenziale, valore solidaristico nel firmamento nazionale del bonum commune. Prevedere il bonum commune per provvedere a esso deve voler dire: radicare la sussistenza, nello spazio e nel tempo, di tutti i membri della nazione italiana, esercitando la, necessaria e opportuna, disciplina dell’ABSTINENTIA.