ROMA – Quello sporco di un jazzista avrebbe avuto 90 anni oggi. Era il 28 settembre del 1991 quando Miles Davis ci lasciò nella città di Santa Monica, in California. Avventuriero del jazz con la sua tromba lasciava sempre il segno. Melodie irregolari, a primo impatto strampalate, ma che riecheggiavano l’unico, coerente ed inconfondibile stile puramente jazzista. Lo stile dell’improvvisazione.
Ma Davis era un poliedrico: con la sua tromba ha attraversato più galassie musicale a partire dalla rivoluzione del bepop, al cool jazz, l’hard bop, il moda jazz e il jazz elettrico o, più comunemente, jazz rock.
Tra i suoi album più famosi si ricordano “Kind of blue” del 1959, “Bitches brew” del ’70 o “Tutu” del 1986, vincitore di un Grammy Awards (nel 1987). «Perché suonare tutte queste note quando possiamo suonare solo le migliori?» celeberrima la sua massima e negli anni continuamente ricordata.
Ma il signor Davis si è reso unico nel suo genere non solo per la musica, ma anche per la sua vocazione “imprenditorial-musicale”. E’ stato uno dei pochi – sicuramente precursore – in grado di realizzare anche commercialmente il proprio potenziale artistico e forse l’ultimo ad avere anche un profilo di star dell’industria musicale. Un jazzman avanguardista.
Oggi, a 25 anni dalla scomparsa, il principe delle tenebre, come veniva spesso chiamato per la qualità “notturna” della sua musica e i suoi modi schivi e gentili, laconici e a tratti scontrosi, che potevano però avere improvvisi balzi di aggressività (tipico da jazzista), resta nella memoria di tutti come una figura chiave, un trombettista geniale e anche un grande scopritore di talenti.
Per tutti gli amanti del jazz il buon Miles Davis è un punto di riferimento: studiato, imitato, rievocato, menzionato è sempre al centro di qualsiasi jam session improvvisata. Le sue note si sentono ovunque e persino nella città più jazzista d’Italia, Bologna, lungo le vie del cosiddetto e famigerato “Pratello”, inevitabile è il riecheggiare di quella tromba con dietro quel riccioluto, dagli occhiali neri e di colore, degno del più ambito dono: l’immortalità del suo sporco e disarticolato jazz.