BENEVENTO- Uno spaccato familiare sullo sfondo della tragedia della Guerra. La storia di Vittorio Battista, che aderisce alla Repubblica Sociale, canto del cigno di un Fascismo morente, e combatte fino alla fine scontando tutte le conseguenze della propria scelta ma rimanendo fedele ai suoi valori, raccontata da Pigi Battista, il figlio, giornalista di lungo corso, che va in direzione ostinata e contraria lacerando inevitabilmente in questa parabola il legame familiare. Ne “Mio padre era fascista” Pigi si racconta raccontando del rapporto complicato con il padre, aneddoti e vita vissuta di una famiglia diversa e a capo della quale Vittorio seppe mantenere vivo, sempre, il dignitoso distacco dalla cultura dominante restando fascista e rivendicando anche con la militanza politica la sua alterità rispetto ai nuovi tempi. Pigi descrive settant’anni di storia nazionale attraverso il microcosmo delle sue relazioni familiari, la guerra di Salò e dei suoi ragazzi imbevuti di retorica e di ventennale propaganda di regime, le sofferenze di chi come il padre rimase fedele ai suoi ideali ma più di tutto il conflitto transgenerazionale, tipico degli anni 70, tutto cerebralmente politico così come politico era anche il metodo di approccio delle relazioni. Battista opera un viaggio all’interno delle pieghe più intime della sua famiglia sentendo il bisogno a 61 anni di fare i conti con un padre ingombrante e presente nonostante sia morto da 26 anni, ricavando un profilo di uomo coerente, anche maniacale come scrive, consapevole di vivere da sconfitto in un contesto pieno di ex della sua parte “flaianamente” all’arrembaggio del carro dei vincitori.