Gestivano il commercio della droga nell’area della Valle Suessuola, tra le province di Caserta e Benevento. Per questo stamane i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Tribunale di
Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea, nei confronti di 38 persone ritenute, a vario titolo, gravemente indiziate di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e detenzione ai fini di spaccio. Tra gli indagati anche due sanniti, entrambi della Valle Telesina
I provvedimenti restrittivi (dei quali 31 in carcere, 6 agli arresti domiciliari e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) costituiscono – si spiega in una nota – il risultato di un’attività investigativa, avviata dall’ottobre 2018 al maggio 2020. Gli inquirenti ritengono di aver accertato l’operatività di un gruppo criminale, attivo prevalentemente nella Valle di Suessuola e collegato al clan Massaro, i cui accoliti, anche grazie al potere intimidatorio esercitato sul territorio gestivano, in maniera monopolistica, il traffico degli stupefacenti.
Inoltre è stato individuato sia il vertice sia le articolazioni periferiche del gruppo. La base doveva occuparsi della vendita al dettaglio, mediante una capillare distribuzione sul territorio di diverse piazze di spaccio, ciascuna affidata ad un sodale con l’obbligo di rifornirsi presso i canali di approvvigionamento indicati dal vertice criminale. E’ stato documentato – si aggiunge – come il gruppo in questione per affermare la supremazia sull’area di influenza, ma soprattutto allorquando emergevano criticità per il recupero crediti dai gestori di piazze di spaccio da loro rifornite, non abbia esitato a fare ricorso a minacce armate, violenti pestaggi ed atti incendiari
Durante le fasi di indagine – si aggiunge – quale attività di riscontro, sono stati arrestati 8 spacciatori e sequestrati 200 grammi di hashish, 350 di cocaina, una pistola Beretta calibro 7,65. Inoltre sono stati segnalati alle Prefetture numerosi consumatori di stupefacente. Spesso chi faceva parte del clan – si spiega – poteva entrare in una riservata rete telefonica grazie a cellulari “dedicati”, che consentiva le comunicazioni tra alcuni
odierni indagati e loro familiari ristretti in strutture carcerarie.