Le ultime novità nelle indagini sul nuovo clan Partenio riguardano gli attentati che la notte del 22 settembre hanno scosso la città di Avellino. Negli atti della Dda si parla di una frizione tra i Genovese e i vertici del gruppo camorristico, dai quali, è questa l’ipotesi che emerge dalle nuove intercettazioni depositate dal pm antimafia Simona Rossi, sarebbe partito l’ordine di sparare all’auto di Damiano Genovese e a quelle dello zio Antonio, davanti alle loro abitazioni di Contrada Sant’Eustachio. E, contemporaneamente, far esplodere un ordigno rudimentale nella macchina dell’imprenditore della ristorazione Sergio Galluccio, amico dei Genovese. Gli ultimi risvolti dell’attività d’indagine svolta dal Nucleo Investigativo dei carabinieri guidato dal capitano Quintino Russo e coordinata dalla Dda di Napoli parla della conclamata possibilità che tra i parenti del vecchio Boss Amedeo, ora in carcere a Parma al 41 bis, e il gruppo criminale nato dalle ceneri del vecchio e capeggiato, sempre secondo i magistrati, da Pasquale Galdieri, detto ‘O Milord, ci fosse aria di guerra.
La ricostruzione degli attentati del 22 settembre e dei colloqui telefonici e presso lo stesso penitenziario emiliano, tra Amedeo Genovese e il figlio Francesco, non lascerebbero dubbi agli inquirenti che, a questo punto con i 23 arresti effettuati sono certi di aver evitato una guerra sanguinosa. È su questo filone d’indagine che si concentrano i nuovi atti, le ricostruzioni e, appunto, le recenti intercettazioni, ambientali e telefoniche, che vanno a coprire un periodo che va dal 2018 fino allo scorso settembre.
I problemi tra le due fazioni sarebbero nati dal mancato pagamento di un debito legato all’attività di usura. Un problema sorto con il clan che coinvolgerebbe Antonio Genovese e lo stesso Galluccio. Da qui sarebbe partito l’avvertimento. Ma rispetto a quanto raccontatogli in carcere pochi giorni dopo, il boss Amedeo avrebbe mandato a dire di mettere pace e che se non c’era possibilità di stare insieme allora ognuno avrebbe dovuto fare la sua strada ma senza usare le armi.
Damiano Genovese, però, quelle stesse armi che avevano sparato prima sulla sua Mercedes e poi sulle vetture dello zio le aveva percepite nel buio in mano a due uomini che si allontanavano quella notte del 22 settembre in sella ad uno scooter T-Max. Lui stesso era uscito di casa, sentendo quel trambusto con una pistola. E dai timori confessati una conversazione, poi il giorno dopo i carabinieri erano andati a perquisire la sua abitazione, trovando l’arma e i fori dei proiettili nelle auto.
Intanto, al Tribunale del Riesame di Napoli sono cominciate le udienze per le istanze di scarcerazione o attenuazione delle misure cautelari nei confronti dei 23 arrestati. Discussi i primi casi, altri saranno trattati lunedì. Tra questi anche le posizioni dei fratelli Galdieri.