Aste pilotate e voto di scambio politico-mafioso ma anche l’appartenenza al clan e il riconoscimento degli affiliati dal bacio sulla bocca quale saluto convenzionale quando si incontravano. Tutto questo e i relativi ulteriori filoni d’indagine rispetto ai 23 arresti della maxi operazione anticamorra della Direzione Distrettuale Antimafia, che ha disarticolato il “nuovo clan Partenio”, sono contenuti nel decreto di “perquisizione personale e locale e sequestro” disposto dal pm e firmato dal gip di Napoli Anna Tirone. Nel dispositivo sono finite due autorimesse, un lavaggio, le sedi di due società di costruzioni, lo studio di un avvocato, la casa si un esponente politico e diversi conto correnti bancari. Nell’atto, inoltre, figurano ben 17 indagati, destinatari di altrettanti avvisi di garanzia.
Nei confronti del coordinatore irpino della Lega, Sabino Morano, viene ipotizzato il reato di corruzione elettorale e voto di scambio politico-mafioso “per aver accettato la promessa di procurargli voti” quando era candidato come sindaco di Avellino alle elezioni comunali del 2018. Rispetto a questo impegno, secondo gli inquirenti, il nuovo clan Partenio, ai cui vertici i magistrati indicano i fratelli Pasquale e Nicola Galdieri, poteva far leva sulla sua capacità di penetrazione e di intimidazione, in cambio di un intervento per garantire il buon esito di alcune pratiche amministrative di natura edilizia. E proprio da alcune conversazioni tra membri della famiglia Galdieri viene fuori il nome di Morano come destinatario dell’appoggio elettorale. In una delle 4 liste a lui collegate, peraltro, erano candidati Damiano e Luigi Genovese, rispettivamente figlio e nipote del boss Amedeo, capo indiscusso del primo clan Partenio e da tempo recluso al 41 bis. Sempre in occasione delle elezioni, poi, Damiano Genovese viene intercettato mentre comunica al padre di aver ottenuto il seggio in consiglio e le strategie per cercare di diventare indispensabile per i 5 Stelle che avevano vinto senza avere la maggioranza dei consiglieri.
Rispetto, poi, a quello che gli inquirenti definiscono il “gruppo Forte”, nello stesso decreto viene spiegato come l’associazione camorristica, proprio in combutta con la citata famiglia, si occupasse in particolare di aste aventi ad oggetto beni immobiliari espletate per lo più presso il Tribunale di Avellino. L’azione criminale, in questa fattispecie, sarebbe consistita nel far partecipare alle stesse eventuali teste di legno assicurandosi l’aggiudicazione sistematica allontanando con minacce e violenza gli altri interessati. Ed è in questo contesto che emerge anche il nome dell’avvocato Antonio Barone, del quale, si parla come “figura chiave” di queste operazioni. Naturalmente, vengono menzionate anche le persone che provvedevano a far transitare il denaro proveniente dall’attività illecita su conti correnti a loro intestati, ostacolando così l’identificazione dei capitali.