(alca) – Arriva la sentenza tanto attesa da parte del giudice monocratico del Tribunale di Avellino Luigi Buono sulla tragedia di Acqualonga ma l’assoluzione dell’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci, fa esplodere la rabbia dei familiari delle 40 vittime che affollavano l’aula della Corte d’Assise. Per lui, il pm aveva chiesto, così come per tutti gli altri dirigenti della società, una condanna a 10 anni per le omissioni nei controlli e nei lavori da effettuare per la sicurezza del tratto autostradale.
“È una sentenza ingiusta – gridano – è una vergogna, hanno condannato solo i pesci piccoli. Tra Monteforte e Genova sono 83 le vittime che ha sulla coscienza”. I parenti dei pellegrini morti nell’incidente non si danno pace. Urla, dolore e accuse pesanti: è il caos.
Assolti anche Massimo Fornaci, Marco Perna, Antonio Sorrentino, Michele Maietta e l’ex direttore generale Riccardo Mollo. Condannati gli altri. A 5 anni e 6 mesi il direttore del tronco Paolo Berti, a 5 anni Michele Renzi, a 6 anni Nicola Spadavecchia, a 5 anni Bruno Gerardi, a 6 anni Gianluca De Franceschi, a 5 anni e 6 mesi Gianni Marrone.
La pena più elevata è stata decisa per il titolare della Mondo Travel e proprietario del bus, Gennaro Lametta, per lo stato del mezzo e aver chiesto e ottenuto un falso certificato di revisione regolare. Per lui il giudice ha confermato la richiesta del pm condannandolo a 12 anni. Diversa la sorte per i due funzionari della Motorizzazione di Napoli: condannata a 8 anni, con lo sconto di un anno rispetto alla richiesta, Antonietta Ceriola, che avrebbe materialmente falsificato la certificazione di revisione del mezzo, mentre il suo responsabile Vittorio Saulino, per il quale erano stati richiesti 6 anni e 6 mesi, è stato assolto.
Naturalmente questo è solo il primo grado, di certo il processo arriverà in appello con ricorso diretto da parte degli avvocati degli imputati condannati. Ma potrebbe arrivarci anche se la Procura generale, che sarà evidentemente pressata dai familiari delle vittime, riterrà opportuno impugnare la sentenza proprio nei confronti di Castellucci e degli altri dirigenti di Autostrade per l’Italia.
La vicenda. 28 luglio 2013, una data che resterà impressa per sempre negli annali della cronaca e nella memoria dei familiari delle 40 vittime della tragedia di Acqualonga. L’incidente si registra nel tardo pomeriggio, dalle 20 le prime agenzie mentre la macchina dei soccorsi è già al lavoro. Un autobus turistico diretto a Pozzuoli è precipitato dal viadotto dell’autostrada A16, nel tratto Avellino-Baiano, direzione Napoli, all’altezza di Monteforte Irpino. Sono pellegrini di ritorno da una gita a Pietrelcina. Alla fine le vittime saranno 40. Pochissimi i superstiti che hanno visto morire davanti ai loro occhi amici e familiari. La più grande tragedia stradale che l’Italia ricordi, un record tristemente superato solo nell’agosto scorso dal crollo del Ponte Morandi di Genova.
Tra indagini, acquisizione di atti, interrogatori e accertamenti la prima udienza del processo si svolge il 28 settembre 2016, più di tre anni dopo. Mentre la costituzioni delle parti viene effettuata circa un anno prima nel Carcere Borbonico, che mette a disposizione spazi maggiori per una prima scrematura.
La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Avellino, con in testa il capo degli inquirenti Rosario Cantelmo, e il sostituto, Cecilia Annechini, indaga 15 persone, responsabili a vario titolo di quella strage. Dai dirigenti di Autostrade, al responsabile dell’agenzia che organizzò quella gita religiosa ai funzionari della Motorizzazione di Napoli da cui sono emerse una serie di documenti falsi in materia di revisione del mezzo che prima del suo ultimo viaggio aveva già percorso un milione di km. Oltre 3 anni di ricostruzioni, di testimonianze, di perizie tecniche e di controperizie, di interrogatori. Di perizie calligrafiche, di accuse e difese. Ma soprattutto di dolore da parte dei familiari delle vittime che hanno seguito le udienze chiedendo al giudice solo una cosa: giustizia. E forse oggi quella prima risposta che attendevano non l’hanno ottenuta, o comunque non del tutto.