“Abbiamo portato all’attenzione del giudice prove solide e chiare sulla correttezza del comportamento dell’ingegnere Castellucci, nel suo ruolo di amministratore delegato della società. Non ci siamo limitati, quindi, a sottolineare l’assenza di qualunque prova a carico dell’amministratore delegato, ma abbiamo documentato e provato tutte le scelte di organizzazione volte ad assicurare alle strutture tecniche la possibilità di decidere, con ampia autonomia, gli interventi di adeguamento delle barriere”.
L’ultima udienza prima della pausa natalizia e prima della sentenza, prevista per l’11 gennaio prossimo, del processo per l’incidente del 28 luglio 2013, nel quale persero la vita 40 persone a bordo di un bus turistico precipitato dal viadotto Acqualonga, si conclude con la requisitoria del legale dell’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia spa, Giovanni Castellucci, l’avvocato Paola Severino, ex ministro della Giustizia nel Governo Monti.
“D’altra parte – continua l’avvocato – non solo i consulenti tecnici di parte, ma lo stesso perito nominato dal giudice, hanno perentoriamente affermato che le barriere presenti sul luogo dell’incidente erano tecnicamente idonee a contenere l’urto, se correttamente manutenute. Ciò, del resto, è confermato dalla circostanza che, fin dall’inizio delle indagini, le scelte del progettista dei lavori sono state considerate corrette. Per effetto di quanto sopra – ha aggiunto – viene chiaramente meno ogni addebito di condotta omissiva e ogni legame causale tra il comportamento dell’ingegnere Castellucci e il tragico evento. In conseguenza abbiamo chiesto, con convinzione, la sua assoluzione con la formula più ampia”.
A rinforzare le tesi difensive, poi, l’altro avvocato di Castellucci e altri imputati di Autostrade per l’Italia, Carlo Marchiolo, che a margine dell’udienza ha spiegato: ”Le condizioni del bus, come è già emerso nella fase istruttoria e ancora con maggiore precisione durante il dibattimento, erano praticamente disastrose. Il pullman aveva quasi 1 milione di km, non aveva meccanica in ordine, era stato sottoposto a una revisione finta, perché non sarebbe mai stato in grado di superarne una regolare. Gli pneumatici erano usurati e, per giunta, non omogenei. Quel mezzo quindi è partito in condizioni impossibili, assolutamente precarie, che erano anche state intuite da alcuni dei poveri passeggeri che poi hanno perso la vita. Infatti alcuni di loro hanno sensibilizzato l’autista del bus sul cattivo stato dello stesso prima della partenza da Petralcina. Durante il tragitto, nel momento in cui si sono manifestati rumori che facevano presagire il guasto che poi si è effettivamente verificato, qualcuno di loro si è avvicinato all’autista per segnalargli quanto stava avvenendo – ha aggiunto Marchiolo -. L’autista ha invece rassicurato i passeggeri. Dopodiché, oltre all’avaria, si è verificata una sommatoria di altri fattori, che hanno portato al disastro. Il primo è stato il fatto che l’autista, se si fosse appoggiato a un muro lungo 1 km presente sulla destra prima dell’inizio delle barriere, avrebbe fermato il bus, magari danneggiando la fiancata del mezzo. Provocando forse qualche ferito, ma non certo la morte di 40 persone. Dunque c’è stata una condotta di guida totalmente inadeguata, che poi è sfociata nella perdita totale di controllo del bus, che è arrivato sul viadotto urtando le macchine e assumendo una traiettoria e un angolo di impatto tali per cui la barriera è stata sovrastata nelle sue capacità di contenimento ben oltre il limite delle barriere più evolute e con la massima capacità di contenimento. Questa è la storia di quell’incidente”.