Si rinnova, ed è cosa preziosa in un Paese che ha scarsa predisposizoone per la memoria, la ricorrenza celebrativa del 4 di Novembre che da giorno che rievoca la vittoria nella Prima Guerra Mondiale dell’Italia post-giolittiana si è trasformata negli ultimi anni nella giornata che celebra le Forze Armate e la Unità dello Stato.
Ma il 4 novembre resta legato alla gran mattanza delle trincee, il sacrificio di quei 650mila che permisero, sacrificando le loro giovani esistenze, il raggiungimento della grande vittoria sul “secolare nemico” austroungarico e più in generale sugli Imperi Centrali, alla figura di Armando Diaz e al suo bollettino a memoria dell’ultima grande pagina risorgimentale del Paese, a quelle scritte sui muri per cui o si resisteva sul Piave oppure tutti venivamo accoppati.
E tuttavia, verrebbe in mente Trilussa e la sua ninna nanna antibellica e antimilitarista, o Eduardo per cui alla fine i morti sono tutti tali e quali, senza differenze di sorta.
Ma la trasformazione lessicale del 4 novembre esalta il ruolo delle Forze Armate, portatrici dei principi di pace e di democrazia di cui è stato pregno il leit motiv degli interventi delle autorità presenti a Piazza Castello
La classica parata militare con carabinieri in alta uniforme e prefetto Moscarella, vicesindaco De Pierro e Presidente della Provincia Lombardi nell’azione della deposiozione della corona d’alloro, all’ombra del tricolore issato al suono dell’immancabile inno nazionale suonato dai ragazzi del Conservatorio e cantato a fil di voce dagli astanti.
Cerimonia breve e sobria e vieppiù importante proprio per imporre la controtendenza all’oblio, vera piaga dei giorni nostri.