Dici malagiustizia e subito corre alla mente il caso che la riassume tutta; l’arresto e la detenzione di Enzo Tortora. Parliamo di un’epoca antecedente il nuovo codice di procedura penale e quindi ad un periodo che si richiama a prima del 1989, quando eravamo in presenza della carcerazione preventiva che poteva durare mesi, se non anni, prima dell’eventuale processo, il detenuto in attesa di giudizio tanto per citare uno dei grandi film di impegno civile girato da Nanni Loy con Sordi protagonista. Eravamo nel 1971.
Tortora in manette e tutta l’esposizione mediatica atta a distruggere la reputazione di un uomo alla fine vittima di un ingranaggio perverso, arrestato e detenuto per sette mesi sulla scorta delle accuse dei pentiti Pandico e Melluso, dichiarazioni rivelatesi poi del tutto infondate, buone solo per otenere uno sgravio di pena.
Per Tortora, finito in una gioco lurido di camorra, politica e giustizia inquinata, non ha pagato nessuno; non ha pagato la magistratura inquirente napoletana, in primis il Procuratore Diego Marmo che imbastì l’accusa con più che evidenti intenti persecutori, nè certa stampa di regime e neppure quegli intelletuali dal grilletto facile che su Tortora hanno alzato l’alea del sospetto più che sufficiente per recitarne il de profundiis.
Orrori più che errori. Ed è proprio il leit motiv del convegno al Teatro Comunale a Benevento dal titolo, “Dal caso Tortora al caso Zuncheddu: 40 anni di errori ed orrori giudiziari”, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Benevento, dalla Camera Penale, dall’Osservatorio sull’Errore Giudizario, dall’Unisannio e dal Comune di Benevento.
E poi c’è anche l’altro grande paradigma di questo j’accuse. La testimonianza vivente di Beniamino Zuncheddu, il pastore sardo condannato all’ergastolo per la strage di Sinnai dell’8 gennaio 1991 poi assolto da una sentenza del Tribunale di Roma dopo 33 anni di carcere.