I funerali di Enzo Gravina alla chiesa del Sacro Cuore Gesù di Benevento, meglio nota come chiesa dei Cappuccini. Una cerimonia sobria, come probabilmente avrebbe preferito Enzo, una bara semplice come la vita che ha vissuto tra le sue “sudate carte” e i suoi innumerevoli cimeli e tutt’intorno gli amici che gli hanno tributato l’ultimo saluto. Il feretro è entrato in chiesa alle 9,15, la cerimonia, officiata da Frà Gianluca Manganelli, è stata asciutta e diretta, tutto insomma come se l’era immaginato lui sornione sotto quella barba bianca e atra.
E le lacrime di molti sono state genuine così anche qualche battuta di spirito una volta terminata la cerimonia funebre e ci si interrogava su cosa avrebbe detto lui a proposito del suo funerale. Una sorta di “esequie del Perozzi”, per chi ricorderà Amici Miei, meno graffiante epperò più sincera dove chi è venuto ha salvato l’onore di una città ancora una volta non pervenuta in moltissime sue espressioni, politiche, culturali, mediatiche. S’è visto un commosso Sandro D’Alessandro, sindaco d’un tempo. “Quando muore un grande che ha dato lustro alla città non ci sono differenze che tengano”, ha detto uscendo dalla chiesa e sono parole su cui meditare.
Un uomo colto e apprezzato Enzo Gravina, per nulla frequentatore di certe stanze, non avvezzo all’adulazione, garbato ma pungente, in poche parole impopolare, almeno per quello che si eccepisce oggi con questa locuzione, e questo spiega l’assenza di chi avrebbe dovuto esserci. Se ne è andato nell’affetto di quelli che c’erano, il peloso mondo dei social, con le sue faccine piangenti, ancora una volta, ha mostrato il suo connotato di plastica.