Allarme lavoro nel Mezzogiorno. L’emergenza sanitaria seguita alla pandemia da Covid-19 ha avuto ripercussioni rilevanti sul mercato del lavoro, in particolare sulle componenti più vulnerabili, giovani, donne e stranieri, che già partivano da condizioni occupazionali più difficili. Il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra 20 e 64 anni in media Italia è sceso al 62,6% (era 63,5% nel 2019). Nonostante il calo abbia riguardato maggiormente il Nord del Paese, più colpito nella prima ondata pandemica del 2020, “lo svantaggio del Mezzogiorno rimane elevatissimo”, con un tasso di occupazione del 48%, rispetto al 71,5% del Nord e al 67,4% del Centro. E’ quanto rilevato dall’Istat che ha diffuso le ‘Misure del Benessere equo e sostenibile dei territori’.
I cali di occupazione più ingenti si osservano sia per alcune province del Mezzogiorno, come Sassari, dove il tasso di occupazione per le persone di 20-64 anni passa da 59,7% del 2019
a 53,6% (-6,1 punti percentuali), Vibo Valentia (-4,5 p.p.) e Siracusa (-4,1 p.p.), sia tra le province del Nord, tra cui Cremona (-4,5 p.p.) e Vicenza (-4 p.p.). Tra le donne cali
consistenti si rilevano anche nelle province di Benevento, Rovigo e Belluno.
Nel 2020 le prime quattro province con i valori più elevati del tasso di occupazione sono nel Nord-est. La migliore in assoluto risulta Bolzano (77,2%), seguita da Bologna (76,6%), Forlì-Cesena
(75,3%) e Trieste (75,1%). Quinta è Firenze (74,3%). All’opposto, tutte le province del Mezzogiorno si collocano nella coda della graduatoria nazionale. Le più penalizzate sono Crotone (35,6%)
Vibo Valentia (40,0%), Caltanissetta (41,2%), Napoli (41,4%) e Foggia (42,6%).
Tra il 2010 e il 2020 il tasso di occupazione è aumentato nella maggioranza delle province. Ciononostante è cresciuto anche il gap tra i territori, specialmente per gli uomini. La distanza tra
la provincia con il tasso di occupazione maschile più basso e quella con il tasso più elevato passa da 27,8 punti percentuali nel 2010 a 36,4 p.p. nel 2020. Per le donne il divario
territoriale, già molto ampio nel 2010 (44,2 punti percentuali di differenza tra la provincia con il tasso di occupazione femminile più alto e quella con il tasso più basso) aumenta ulteriormente
nel 2020, arrivando a 48,4 punti percentuali.
Le giornate retribuite nell’anno misurano il grado effettivo di partecipazione all’occupazione dei lavoratori dipendenti e disegnano differenze piuttosto nitide tra le aree del Paese, riflettendo anche la diversa incidenza dell’occupazione discontinua e stagionale nei territori. L’indicatore, di fonte Inps, è calcolato come rapporto percentuale tra le giornate di lavoro complessivamente retribuite nell’anno ai lavoratori dipendenti e il massimo teorico (le 312 giornate annue di un dipendente occupato a tempo pieno). La media Italia, nel 2019, è del 78% ma il valore dell’indicatore sale all’86% a Lecco, prima in Italia, e scende al 59% a Vibo Valentia.
Anche nel 2019 i livelli più elevati si registrano nelle province del Nord Italia, tra cui Lecco, Vicenza, Lodi, Bergamo e Biella (tutte con valori superiori all’84%). All’opposto, le cinque
province con le percentuali più basse di giornate retribuite nell’anno sono nel Mezzogiorno: oltre a Vibo Valentia, Nuoro, Foggia, Salerno e Trapani, tutte con valori compresi tra il 64% e
il 65%. Nessuna provincia o città metropolitana del Mezzogiorno raggiunge la soglia delle 80 giornate su 100 mentre nessuna provincia del Nord-ovest scende sotto le 70 giornate su 100, il
valore minimo toccato ad Aosta. I minimi del Nord-est e del Centro sono invece rappresentati da Rimini (66%) e Grosseto (69%).