Due giugno 1946, due giugno 2021. Settantacinque anni di Repubblica che, come recita la Costituzione, è fondata sul lavoro che purtroppo sembra essere soltanto una formula vuota visto che il lavoro non c’è e quando esiste è a retribuzioni assai misere. La grundnorm su cui si basa il portato fondamentale della Carta si fa fragile e quando cede la pietra angolare non bastano le celebrazioni e gli alzabandiera e le fanfare e le pur significative deposizioni di corone al monumento ai caduti. Occorre dare forza e nerbo alla Costituzione invece di indebolirla e modificarla con formule astruse e spesso incomprensibili. E tuttavia, è sempre importante celebrare, evitare di far precipitare queste date nella categoria delle cose stucchevoli, vecchie, o nella peggiore delle ipotesi appannaggio delle sinistre, come negli ultimi decenni qualcuno ha inteso catalogarle. La Resistenza, su cui si basa la ritrovata democrazia sublimata dalla vittoria, non senza qualche ambiguità, della Repubblica sulla Monarchia, continua ad essere considerata dalle destre di questo Paese come un fattore divisivo, appartenente ad una parte vincente sull’altra sconfitta. Colpa delle transizioni italiane, lunghe e lente, di un Paese al quale non bastano 75 anni per superare le impasse e avviare il processo di vera pacificazione nazionale e porsi sul modello delle democrazie americana e francese per le quali il 4 e il 14 luglio sono date ecumeniche, da qualsivoglia parte le si guardi.