Io lo conoscevo bene. Non mi spaventa dire che conoscevo bene Claudio Ricci che ci ha lasciati questo pomeriggio e ancora non sappiamo se sia una cosa seria oppure uno scherzo. Lui avrebbe sorvolato con la sua solita verve “pane e salame”, qualità che si è andata perdendo nella vita così come nella politica, ci avrebbe ricamato una battuta alla maniera nostra, alla maniera delle nostre zone. Io lo conoscevo bene, dicevo, e ancora prima che mi dedicassi a questo mestiere. Le mie origini paterne cubantesi vedevano in San Giorgio quasi una città per noi che, come dice Paolo Conte, “stiamo in fondo alla campagna”, per cui nei primi anni 80 questo ragazzone biondo, occhi cerulei, assai appetito dalle donne, ci passava davanti e assai poco ci considerava essendo più grande di noi. Uno dei primi contatti con Claudio risalgono a quel periodo. Poi, te lo ritrovo anni dopo come interlocutore politico per me che da Napoli ricalcavo le orme paterne all’esatto contrario e il rapporto si fece subito diretto. Non mi considerava “napoletano”, per nulla. ” Tu si e ca, si do Covante” soleva ripetermi, e io che non ho mai disconosciuto le origini contadine della mia famiglia paterna, vivaddio, prendevo quelle parole come un attestato di fiducia, come a dire…di te mi fido perchè siamo fatti della stessa sostanza, “venimmo da a stessa terra”. E così è andato avanti per una quindicina d’anni e più il nostro rapporto che cominciò, ufficialmente, con la sua architettura più sagace: quando sventò, o fu uno degli architetti più capaci, il blitz di Mastella alla Rocca per rovesciare Cimitile e consegnare a Berlusconi la Provincia. Eravamo nel 2009. Quel fallimento, unito alla medesima sorte del “golpe” a Palazzo Mosti, costò a Mastella anni di oblio fino al 2016. Li Ricci, che era capogruppo del PD, fu davvero superbo nel tessere una fitta ragnatela di rapporti, faticosi, difficili, una “ars” diplomatica che lo rese uno degli uomini più in vista del partito. Carattere diretto e per questo spesso aspro, perse la sfida sangiorgese con l’ex mentore Mario Pepe. Peccò di “ubris”, non accolse l’invito del partito ad un sostegno più corposo, pensò di essere nelle condizioni di riconfermarsi. Perse ed avrebbe anche voluto dimettersi da presidente della Provincia ma De Caro si impose e lo blindò alla Rocca. Era tracotante, si, spigoloso, per nulla avvezzo al compromesso ma sapeva quando era il momento di fare il fatidico passo indietro. Mai borioso, fu invece umile nel porsi nei confronti della stampa, per esempio. Le interviste, chi è del mestiere potrà capire, duravano un’eternità perchè argomentava e sottolineava, e ripeteva concetti e ogni invito alla sintesi cadeva nel vuoto perchè lui era fatto così. Sempre disponibile, mai un diniego, per me che lavoro senza “preavviso” una vera manna. Intere mattinate a parlare nel suo studio alla Rocca e gli operatori che mi esortavano a tagliare la corda. Ma l’informazione, credo, si faccia anche e soprattutto così e lui rappresentava un toccasana. Mai invadente, non ha mai approfittato del suo status e pur invitato più volte in studio per una intervista ha sempre evitato e per un uomo politico, sempre a caccia di consensi, è davvero una cosa curiosa. Mi resterà il fatto che Ricci sia stato l’unico politico che non è mai stato ospite in un mio programma televisivo e questo la dice molto lunga su chi fosse davvero Claudio Ricci. Un uomo buono, un gigante buono che conoscevo bene e che apprezzavo anche quando mi teneva ore al telefono a mezzanotte, dopo una giornata di lavoro, per raccontarmi le sue impressioni o per dirmi che quel pezzo non lo convinceva oppure ancora per ripetermi “ca o Vommero tene chù cristiani che tutta a provincia e Beneviento mis assieme”, un modo per dire che non era il caso di pretendere l’impossibile dalla Regione Campania. Voleva il mio parere, sapeva apprezzare il giudizio degli altri…per poi fare di testa sua. Io lo conoscevo bene. Ciao Claudione, attacca polemica con i giusti con i quali sei degno di stare.