Circa la scelta di Oreste Vigorito a presidente di Confindustria Benevento. Una decisione che presta il fianco a più di un commento. Nulla quaestio in relazione alla caratura del personaggio, al suo carisma, alla sua indubbia capacità imprenditoriale espressa nelle sue molteplici attività, l’orientamento confindustriale ha però obbedito alla logica del compromesso. Tralasciando il sospetto del sempre posssibile conflitto di interessi, per la veste editoriale del nuovo inquilino di Piazza Colonna, la convergenza sul nome assai gettonato del presidente del Benevento calcio ha evitato l’insorgere di un conflitto pericoloso all’interno dell’Unione. La rinuncia alla prorogatio da parte dei vertici nazionali, su cui si faceva affidamento per sopire qualche bollente spirito e spalmare sul lungo periodo il problema della successione a Liverini, ha sortito l’effetto contrario e cioè quello di aprire le ostilità tra i papabili. Tra cui Pasquale Lampugnale, anche lui editore, da più parti considerato l’erede naturale per il nuovo quadriennio. Appare evidente che l’assioma del “concordes in unum” che ispira Confindustria sarebbe andato in frantumi ed avvrebbe aperto falle forse irreparabili all’interno dell’associazione.
Il nome di Vigorito ha, di fatto, evitato la deflagrazione e indotto i quattro past presidents, il Quadrilatero composto da Cosimo Rummo, Liverini stesso, Mataluni e D’Avino a puntare sull’ercolanese con l’avallo del potere politico, Mastella in testa ma non solo lui. Insomma, un escamotage per evitare un conflitto dalle conseguenze imprevedibili ma che potrebbe esserer peggiore del male che si è andati ad evitare. Le parole di Filippo Liverini assai emblematiche della crisi in atto in Confindustria
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