In vista delle Elezioni del Presidente della Giunta e del Consiglio regionale della Campania del 20 e 21 settembre 2020 il comitato “Nessuno tocchi l’Irpinia” rivolgere un appello a tutte le candidate e a tutti i candidati alle rispettive cariche a sottoscrivere la loro adesione a questo documento a tutela del ruolo democratico delle istituzioni locali e della salvaguardia dei nostri territori.
La vicenda dell’impianto di trattamento dei rifiuti solidi urbani organici previsto nel Comune di Chianche non è una faccenda che interessa un solo territorio o una particolare categoria economica ma riguarda l’intera provincia di Avellino e il delicato quanto strategico rapporto tra Regione e comunità locali.
In breve ricordiamo cosa è accaduto.
La legge regionale numero 14 del 2016 ha previsto la provincializzazione del ciclo integrato dei rifiuti realizzandolo attraverso l’istituzione di specifici Enti d’Ambito, i cosiddetti “A.T.O.” .
In quasi tutte le province questi organismi, per una serie di ragioni, hanno impiegato molto tempo a costituirsi per cui nelle more di tale processo di formazione la Regione Campania ha pensato che la via dell’impiantistica industriale generalizzata fosse la strada più opportuna da seguire per far fronte alla spada di Damocle delle multe della U.E. e dei costi di trasferimento dei rifiuti nel Nord Italia.
Un Ente deputato alla programmazione sull’intero territorio regionale invece di farsi prendere dalla sindrome della soluzione immediata avrebbe dovuto avere la capacità di realizzare un sistema diversificato e non univoco in quanto sappiamo bene che la Campania è suddivisa nettamente tra aree costiere metropolitane ad alta densità abitativa e zone interne che spalmano su vasti territori una popolazione sempre più in via di diminuzione e distribuita in tanti piccoli centri rurali.
Il trattamento dei rifiuti organici, destinati a un giusto recupero in un contesto di economia circolare, risponde a una logica tanto semplice quanto praticabile: produrre rifiuti controllati e garantiti altrimenti è tutto inutile o addirittura nocivo.
Per realizzare questo elementare principio il metodo più naturale da seguire sarebbe stato il poter controllare al meglio la corrispondenza di tali requisiti per cui il criterio più serio, economico ed ecologico avrebbe dovuto essere quello di realizzare trattamenti di piccole dimensioni, non distanti dai luoghi di produzione degli scarti, dove sono facilmente individuabili i conferitori .
Il sistema per realizzare questo modello sicuro, economico ed efficace avrebbe dovuto essere quello delle “Compostiere di comunità o di prossimità” il che significava prevedere per i pochi centri urbani della provincia dei biodigestori calibrati alle reali e minori esigenze di queste popolazioni e una rete di compostiere distribuite nel restante dei centri minori.
Ma sempre nel vulnus della non realizzazione degli “A.T.O.” la Regione Campania ha prodotto una seconda grave torsione rispetto a questa direzione inventandosi il “Bando a chiamata” cioè la richiesta indistinta a tutti i 530 comuni campani di una manifestazione di interesse. Con tale atto non solo si è esautorato ogni ruolo di studio, programmazione e di proposta per quanto riguarda la localizzazione degli impianti da parte dei costituendi Enti d’Ambito, ma si sconfessava la stessa meritoria filosofia programmatoria che aveva ispirato la legge regionale in materia.
Così facendo la Regione consegnava incredibilmente nelle mani di un qualsiasi comune le sorti del ciclo integrato provinciale dei rifiuti con gli stessi poteri e le stesse prerogative di una qualsiasi opera pubblica municipale.
Infatti, il “destino” cinico e baro ha voluto che l’unico comune che abbia proceduto al perfezionamento conclusivo della istanza di localizzazione è stato quello di Chianche, il quale ha aderito a una manifestazione di tale interesse solo con un atto monocratico del Sindaco, senza convocare il Consiglio
comunale, né un’assemblea di cittadini, tantomeno una Conferenza dei servizi territoriali con i comuni limitrofi e i diversi soggetti economici presenti sul territorio.
Un sito collocato nell’areale di pregio agrario della D.O.C.G. del “Greco di Tufo” , in un luogo impervio collegato a una rete stradale palesemente inadeguata, a dieci metri dal passaggio a livello ferroviario, in un’area storicamente interessata da dissesti idrogeologici, dove non esiste alcuna area P.I.P. ma solo una lingua di asfalto, priva di qualsiasi infrastruttura che, tra l’altro, è attualmente sotto sequestro per motivi giudiziari ambientali e insufficiente a soddisfare le previsioni progettuali tanto che nello studio di fattibilità sono stati previsti ben 1,5 milioni di euro per soli espropri.
Insomma il luogo più infelice, costoso e inidoneo dell’Irpinia che si potesse pensare per allocare un impianto di trattamento dei rifiuti.
Ma le criticità della vicenda non sono collegate solo a questi aspetti in quanto il progetto originario aerobico è stato modificato in anaerobico e i costi sono saliti in meno di tre anni da circa quindici milioni a ben diciannove milioni di euro .
Detto in parole semplici, come hanno spiegato firme e voci autorevoli della Medicina per l’Ambiente internazionale, se l’aerobico presenta ancora qualche potenzialità per la produzione di compost per l’agricoltura in quanto si fonda sul conferimento soprattutto di rifiuti organici agro-alimentari, l’anaerobico si avvale anche e soprattutto di altre categorie di rifiuti che di “bio” non hanno proprio nulla, come scarti provenienti da fanghi, cellulosa, plastica trattata, macelli animali, ecc. , in quanto il principale obiettivo è quello di far funzionare l’impianto non come una compostiera bensì come una struttura di biomasse, che produce, cioè , energia, metano in questo caso, con la realizzazione anche di un percolato che necessita a sua volta di essere collocato in altri siti da discarica.
E’ quindi per queste oggettive motivazioni che localizzare il biodigestore anaerobico in un areale di pregio agricolo non è opportuno per cui è giusto che sia collocato in un’area industriale vocata a tale impiantistica per compatibilità funzionale e logistica.
L’ATO Rifiuti di Avellino invece di recuperare quanto non realizzato dalla Regione in termini di studio, elaborazione e proposta da sottoporre ai Sindaci e al territorio ha scelto inopinatamente un’altra strada che agli inizi si è concretizzata nell’esercizio di un inspiegabile sondaggio di disponibilità sui territori e nella fase finale, inventandosi all’indomani del sopraggiungere di diverse nuove richieste di localizzazione da parte di alcuni comuni, una Commissione tecnica di valutazione a cui è stato attribuito un improprio potere aggiudicativa esercitata attraverso delle tabelle attuariali, espropriando di fatti di tale importante ruolo sia il Consiglio d’Ambito che l’Assemblea dei Sindaci.
Una Commissione, si badi bene, che è stata composta da elementi che già da diverso tempo avevano manifestato pubblicamente la loro predilezione per Chianche opponendosi apertamente alle ragioni di chi le motivava in modo contrario , che è stata presieduta dalla Direttrice generale dell’ATO , la quale nello studio di fattibilità dispendiava un improprio e non competente encomio al Sindaco di Chianche per la scelta compiuta.
Su questi presupposti abbiamo chiesto e ottenuto l’impegno solenne da parte del Sindaco di Avellino nella qualità di Presidente dell’Assemblea dei Sindaci, la Convocazione dell’ Organismo dell’ATO Rifiuti Avellino in modo da offrire una spinta determinante al bisogno di discutere per la prima volta in una sede generale tale problematica per ripensare a tale scelta e a introdurre motivi di maggiore obiettività nella valutazione delle localizzazione e nell’attivazione del ciclo provinciale integrato dei rifiuti.
Questa sintetica ma seria e documentata ricostruzione dei fatti ci fa capire quale portata politica, legale e istituzionale ricopra oggi la vicenda del biodigestore che si vorrebbe a tutti costi realizzare a Chianche, e come essa sia nei fatti diventata una questione provinciale a caratura regionale per le conseguenze che essa comporta.
Noi non stiamo rappresentando una strumentale polemica politica ma offrendo alla classe dirigente campana la possibilità di riflettere su quanto accaduto e di porvi rimedio nel modo più conseguente possibile nell’interesse superiore dei territori, del completamento efficiente del ciclo dei rifiuti e della salvaguardia dei principi istituzionali che vedono in primis quello del diritto di partecipazione e di decisione delle realtà territoriali a dispetto di una antistorica logica neocentralistica regionale.
Ripensare Chianche significa tutto questo e una classe dirigente coraggiosa e matura non deve temere questa sfida di civiltà e di democrazia se vuole essere realmente dalla parte degli interessi delle popolazioni a partire dalla sottoscrizione personale di questo Appello.
Ne vale del futuro dell’Irpinia e della Campania intera .
Per le adesioni si prega di trasmettere entro le ore 23.55 di giovedì 17 settembre 2020 una e mail indicante il corrispondente nominativo del candidato/candidata al seguente indirizzo di posta elettronica:
Il Coordinamento “Nessuno tocchi l’Irpinia”