Di Enzo Colarusso –
Un primo maggio in silenzio. Niente slogan, niente cortei, niente striscioni, niente di niente. Tutti a casa, al massimo in collegamento da remoto, come ormai si fa e come dovremo abituarci a fare per l’immediato futuro. Eppure, la festa del Lavoro, se di festa si può parlare in un momento così tragico, è li che ci chiama alle nostre ineludibili responsabilità. Non è più tempo per voltare la testa da un’altra parte, il dovere di ognuno è quello che si deve fare in circostanze estreme e cioè operare il massimo sforzo per tentare la sortita dalla “morta gora” che ci opprime. In che modo? Assumendoci tutti le nostre responsabilità, fino in fondo. Finita l’epoca delle celebrazioni bianche, rosse o blu o addirittura nere, qui o ci si salva tutti o tutti accoppati, come recitava un murale durante l’estrema resistenza sul Piave nella guerra del 15-18. La similitudine non è azzardata; il nuovo Piave è il mantenimento del posto di lavoro, a retribuzioni basse anche, ma essenziale ed è la frontiera su cui la classe politica, sebbene mediocre, dovrà spendersi per la tutela di una società altrimenti in sfacelo. La ripresa dopo il covid sarà lacrime e sangue e questo lo intuiamo tutti e anche le distanze tra chi ha e chi non ha dovranno essere calibrate. Nessuno potrà permettersi il lusso di vivere oltre le sue disponibilità, come in questo Paese è successo per troppi anni, per cui il rigore dei costumi e l’essenzialità dovranno essere la barra a dritta. Un New Deal di marca roosveltiana, solo che manca un Roosevelt ma ci dobbiamo provare. Urgono investimenti robusti e tagli laddove esistono le rendite parassitarie, pensioni monstre, boiardi di stato, speculatori, e invece investimenti sulla ricerca, la scuola, la riforma delle pensioni, del sistema sanitario, tutti quei comparti in cui si è tagliato negli ultimi 40 anni e che ora ci si accorge essenziali per un Paese che rischia di sfaldarsi. Un primo di maggio in cui al profitto si prediliga il lavoro, una volta per tutte, prima che l’onda lunga della disperazione travolga tutti e col popolo, per dirla alla Manfredi ne “In nome del Papa Re”, prima o poi “ ce se sbatte sempre er grugno”. Memento.