Ieri si è svolto un nuovo appuntamento online di Cives – Laboratorio di formazione al bene comune per approfondire il tema “Ridisegnare gli spazi vitali nella nostra città e nei nostri paesi guardando al futuro” in compagnia di architetti ed esperti di urbanistica: Raimondo Consolante, Pino Iadicicco, Nicola Mucci e Pasquale Palmieri.
“Ci ritroviamo a sperimentare modalità di vita diverse” ha introdotto Ettore Rossi, coordinatore di Cives che ha continuato “proviamo a praticare distanziamento fisico ma non sociale. Anche alla luce di questa considerazione immaginiamo di riflettere sulla costruzione della vita nelle città sia grandi che più piccole. Anzi proprio da questi centri si può pensare di ripartire. L’architettura sarà fondamentale per ripensare sia gli spazi pubblici che quelli privati in termini certamente di sicurezza ma che allo stesso tempo garantiscano di vivere a tutti noi le relazioni con le altre persone”.
Raimondo Consolante è intervenuto dicendo: “Questa crisi ci ha permesso di capire che il modello insediativo dei nostri territori non è da disprezzare, anzi è espressione di un vivere sano da promuovere. Una città più rarefatta, con densità sociale meno intensa, è una città che può essere foriera di grande qualità della vita. Questo emerge non solo a causa del virus ma perché probabilmente la nostra città, come tante della dorsale appenninica, consentono una relazione abitativa diversa tra l’individuo e lo spazio da abitare. Inoltre vi è una percezione del paesaggio ancora tangibile, che mantiene, seppur violentato, una sua identità”.
“Vi è un’altra questione – ha aggiunto Consolante – che è il vivere sano comunitario, il concetto di civitas. La nostra idea di città è anche un’idea identitaria di comunità mentre le grandi città tendono a perdere l’identificazione di comunità con la città, faticando ad avere una visione complessiva. Spesso ci si identifica più col quartiere che con la città. La possibilità di far rimanere una corrispondenza tra città e comunità, dunque, apre la questione dello spazio pubblico che mi sembra sempre più oggetto di erosione anche in una città come Benevento. Quando parlo di spazio pubblico faccio riferimento proprio all’idea della città pubblica: veniamo da anni in cui non si progettano più interventi di edilizia residenziale pubblica o interventi pubblici efficaci, questo avviene perché non vi è più una idea di città pubblica. Io credo ci sia bisogno di iniziativa pubblica, di politica, di iniziativa delle istituzioni.
“Una breve riflessione – ha detto Consolante – andrebbe fatta, poi, sui piccoli comuni della dorsale appenninica: l’occasione è di pensare a questi centri come piccoli nuclei di città più ampie. Questo può avvenire innanzitutto per intercettare risorse che provengono dall’Europa, le quali spesso vengono destinate solo in base ad un criterio quantitativo. I nostri territori hanno molto da giocarsi se assumiamo la consapevolezza della qualità dei luoghi che ci apprestiamo a vivere”.
Consolante intervenendo successivamente ha chiuso il suo ragionamento dicendo: “E’ necessario pensare a nuove identità dei luoghi compatibilmente con la sfida dei prossimi decenni che è quella di consumo suolo zero. Questo non vuol dire non costruire più, quanto piuttosto di pensare a favorire il completo ripensamento di molte aree periferiche, sebbene nei nuclei urbani delle città. La grande sfida da cogliere, per tutto il paese, è quella dell’edilizia di sostituzione: l’edilizia degli anni ’60 o ’70 è una pessima edilizia, persino pericolosa. L’occasione dell’edilizia di sostituzione, in questo senso, sarà decisiva per il futuro anche attraverso strategie di finanza che devono avere l’impulso delle istituzioni pubbliche. In Italia abbiamo grande tradizione culturale da questo punto di vista: penso ad Adriano Olivetti che parlava, già molti anni fa, della città dell’uomo. C’è bisogno di laboratori urbani, dove pensare al futuro, per città come Benevento”.
Nicola Mucci successivamente ha detto: “La nostra abitazione è diventato il luogo principale della nostra vita in questo periodo: infatti ogni membro della famiglia cerca il proprio spazio personale per fare le sue attività. Il vivere un’abitazione ventiquattro ore al giorno ha creato una serie di problemi, questo non perché le abitazioni siano piccole ma perché c’è bisogno di pensare ad una nuova forma di organizzazione della vita all’interno delle abitazioni stesse e, quindi, di ridefinire un modo di vivere la vita familiare. Questo porrà una serie di questioni: se si pensa di risolvere il problema con abitazioni tutte unifamiliari si porrà un problema eccessivo di occupazione del suolo.
Mi preoccupa il fatto che potrebbe scatenarsi una eccessiva aggressione al territorio. Bisogna, inoltre, modificare le normative in termini edilizi, mi sembra evidente. Così come va ripensata l’edilizia abitativa, perché, se bisogna mantenere le distanze, sarà impossibile riproporre grandi caseggiati. I problemi sono tanti e mi auguro che anche una professione come quella degli architetti torni ad essere centrale avendo un pensiero lungo, aprendo dibattiti sul futuro delle città”.
“Per fare un’inversione di tendenza, mettendo l’uomo al centro delle nostre riflessioni, necessitiamo di un cambiamento epocale. Questo è un obiettivo prioritario di chi ha interesse per il bene comune” ha premesso Pino Iadicicco che poi ha passato in rassegna un progetto di housing sociale volto al favorire varie forme di edilizia con l’idea di ricostruire un’idea di quartiere diversa con servizi, attrezzature, contenimento delle risorse energetiche e inserimento di risorse sociali e ricreative. Tale progetto fu elaborato alcuni anni fa da Iadicicco e altri professionisti nell’area alle spalle della stazione centrale, storicamente “altra” dalla città di Benevento e dal Rione Ferrovia.
“Inserimmo nell’idea progettuale – ha detto Iadicicco – una serie di elementi che non fossero solo la sommatoria di edifici residenziali ma che servivano a dare l’immagine di un quartiere che avesse al suo interno una serie di funzioni che potessero essere sia di aggregazione che di richiamo e di scambio per gli altri cittadini della città. Tutto il quartiere era circondato da un grande parco verde con pista ciclabile, con elementi di riuso dell’acqua piovana, che permetteva l’interscambio con più categorie sociali”.
“Questo esempio – ha concluso l’architetto – serve per dire che esiste una strada, che è anche già stata impostata e percorsa che, torno a ripetere, deve mettere al centro l’interesse non del costruttore ma della persona che deve tornare ad essere persona sociale”.
Pasquale Palmieri ha affermato: “Spesso sentiamo l’analogia tra questa emergenza e la guerra. Come al termine di una guerra bisognerà ricostruire decidendo se ricostruire come prima o cambiando ciò che c’era. Benevento, dopo la guerra, approfittò della distruzione per cambiare, con risultati che purtroppo non hanno prodotto molti frutti. La fase della ricostruzione è molto delicata perché possiamo cadere vittime di una sorta di ricatto dettato da esigenze economiche o sociali, come fu nel dopoguerra quando si cedette all’emergenza abitativa ricostruendo la città senza tenere conto della sua forma, del decoro, della bellezza. Non so cosa ci aspetta perché Benevento è una città piccola, diradata e sovradimensionata in termini di tessuto edilizio. Ma, in questo contesto, questa situazione, insieme alla nostra storia, potrebbe mettere insieme un meccanismo virtuoso di rinascita. La città di Benevento ha, infatti, una serie di periferie urbane che sono piccole bolle, spesso trascurate: queste aree costituiscono periferie centrali che potrebbero diventare polmoni per rispondere all’esigenza di distanziamento fisico. Poi Benevento ha una vocazione turistica che non è mai stata pienamente accolta: siamo una città Unesco ma questo riconoscimento, oltre che ad una medaglietta, non ha mai messo in moto grossi meccanismi di ricettività o di accoglienza. Eppure ora questo potrebbe accadere anche alla luce della crisi dei grandi attrattori turistici che avranno una grossa contrazione. Infine abbiamo un’altra potenzialità dettata dal fatto che gli investimenti dell’Unione Europea sono legati o al criterio quantitativo oppure ai sistemi in rete: Benevento è al centro della rete dei cammini e dei percorsi storici. Penso alla Via Francigena o alla via Appia, grazie alle quali si potrebbero costruire una serie di percorsi che hanno come centro la nostra città. Questo può voler dire costruire occasioni di sviluppo in linea con il principio emergenziale che continueremo a vivere”.