Colpire le mafie al cuore dei loro interessi economici che fanno girare una economia inquinata fatta di centinaia di milioni di euro. Uno dei modi per aggredire i clan è certamente quello di sottrargli i beni, attraverso il sequestro e poi la definitiva confisca. Una delicata linea rossa che è fatta di indagini meticolose da parte delle forze dell’ordine e della magistratura con dispendio di energie e di tempo, ma è dimostrato che se si vuole sconfiggere la criminalità organizzata non basta disarticolarne la portata militare: è necessario destabilizzarne il potere economico. Di questo si è parlato nel corso del secondo appuntamento col seminario “Mafie di ieri e di oggi”, organizzato dall’Unisannio, presso l’Aula Magna della Facoltà di Scienze Economiche ed Aziendali. A Benevento il simbolo dei beni confiscati è senza dubbio il cementificio di Contrada Olivola che il Comune aveva deciso di assorbire per spostarci la sede amministrativa di Asia. Palazzo Mosti, poi, tornò sui suoi passi e decise di non volerlo più adducendo una poco probabile azione vandalica tutta da dimostrare.
Lo stesso Perocuratore Capo di Benevento Policastro, da sempre critico sulla reticenza delle istituzioni pubbliche a farsi carico dei beni confiscari, era tornato di recente sull’argomento sostenendo la tesi della lentezza intollerabile dello Stato, nelle sue articolazioni locali, nell’attivarsi al fine di prendere in consegna beni mobili ed immobili. Oggi lo ha fatto Toni Mira, collega di Avvenire, giornale di ispirazionme cattolica collegato alla Cei, la Conferenza Episcopale, intervenuto al dibattito.
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