“La Direzione ha rispettato tutte le norme ed ha permesso alla ginecologia di essere un luogo organizzativamente sicuro quel tragico giorno? “Sono sette le persone indagate per la morte del neonato avvenuta domenica mattina presso l’ospedale “Rummo” di Benevento. Si tratta di tre ginecologi, due medici e due ostetriche che potranno nominare i propri consulenti quando verrà effettuato l’esame autoptico sul corpicino del neonato, disposto dalla Procura della Repubblica di Benevento dopo la denuncia presentata dai genitori ai carabinieri. Dopo 48 ore di agonia, trascorse in terapia intensiva, a causa di complicanze durante il parto, il cuoricino del bimbo domenica scorsa smise di battere. Durante il parto erano infatti sorte delle difficoltà dopo il tentativo fallito, attraverso l’uso della ventosa, di effettuare il parto naturale. Da lì, poi, il ricorso al taglio cesareo e la constatazione dei problemi al piccolo, che era stato trasferito nel reparto di rianimazione.” Fin qui l’ANSA. Un evento tragico e drammatico per tutti: sia per chi affronta un lutto così enorme ed assoluto sia per chi ha cercato di compiere il proprio dovere di salvare e garantire la vita altrui e che, purtroppo, si può trovare a fronteggiare eventi imprevedibili e nefasti che probabilmente segneranno per sempre anche la loro vita. Una tragedia che forse ha le sue origini più profonde in atti e circostanze che la Magistratura farebbe bene ad approfondire.
Da mesi il Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria ‘San Pio” dott. Renato Pizzuti lamenta l’assenza di medici, in particolare di anestesisti, radiologi e medici dell’urgenza-emergenza presso l’Ospedale Rummo di Benevento. Medici che, a suo dire, nonostante i concorsi fatti non si riescono a reclutare perché non partecipano o non accettano. Ci chiediamo quanto tutto questo può aver inciso e può incidere su eventi così drammatici? Quali sono in questi casi i compiti e le responsabilità del Direttore Generale, del Direttore Sanitario Aziendale, del Direttore Sanitario di Presidio, dei Direttori di Dipartimento, dei Primari e del Dirigente Infermieristico che firmano e autorizzano i turni di servizio e di tutti coloro che hanno l’onere di organizzare un ospedale? Quanti medici dovevano essere presenti per garantire i livelli assistenziali quel giorno in Ginecologia ed Ostetricia, quanti infermieri, quante ostetriche, quanti anestesisti? In quale atto la Magistratura può leggere ed avere la certezza che il personale presente era quello necessario per adempiere alle proprie funzioni sanitarie? Fino a qualche anno fa la dotazione organica era allegata all’Atto Aziendale e tutti (anche noi profani) potevano leggere che in un reparto, per garantire un livello minimo di sanità, erano necessari un certo numero di medici, di infermieri e addirittura di personale delle pulizie.
Il Direttore generale Pizzuti ha eliminato anche questo nonostante sia la Regione che il Ministero lo richiedono con atti e decreti. Allora in assenza di un Atto così importante come si fa a sapere se i turni sono congrui alla richiesta di offerta sanitaria? Il Dottore Huscher, ex Primario, in una intervista ha dichiarato che in chirurgia generale ed oncologica il reparto oggi è gestito da 2 soli medici. Ci chiediamo si può tenere aperto un reparto con 2 medici? Infatti a nostro parere la Magistratura sui fatti successi dovrebbe indagare su questo: se è vero come dice Il Direttore Generale Pizzuti mancano tanti medici che non si riescono a reclutare nonostante gli sforzi di mobilità e concorsi allora avere reparti aperti senza tali figure professionali risponde a criteri di sicurezza per i pazienti? Non ci pare giusto, aldilà di eventuali responsabilità, se saranno accertate, che la colpevole disorganizzazione di una Direzione Ospedaliera che ha il compito di decidere cosa fare, debba ricadere su medici e infermieri che si trovano ad operare in trincea, con turni stressanti, stanchi e che per il solo fatto di voler fornire un aiuto alle sofferenze altrui si trovano poi a pagare civilmente, penalmente, moralmente ed alcune volte anche fisicamente, colpe che derivano da altri. Ecco a noi pare che i veri esclusi da questa vicenda, su cui occorre accertare le responsabilità, sono i vertici aziendali, Direttore Generale, Direttore Sanitario Aziendale, Direttore Sanitario di Presidio, pagati per offrire sanità e un posto sicuro ad un malato.
Il D.Lgs. n.502/1992 e poi dalle successive modifiche, hanno trasformato le U.S.L in aziende (Aziende sanitarie locali e in Aziende Ospedaliere, pur sempre dipendenti dalla Regione) dotate di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e tecnica e ha individuato quale responsabile dell’Azienda, dotato di notevole autonomia, il Direttore Generale, coadiuvato dal Direttore Sanitario e dal Direttore Amministrativo: tre figure con cui si istaura un contratto di natura privatistica. In altri termini, l’individuazione di questi tre soggetti può permettere di attribuire le responsabilità penali anche nel caso in cui, in presenza di danni ai pazienti, vi siano state, indipendentemente dalla correttezza comportamentale dei medici e degli infermieri, carenze strutturali od organizzative chiaramente attribuibili a queste figure, al cui operato sembrerebbero applicabili i criteri della responsabilità d’équipe. Si deve cioè puntare l’attenzione sui singoli casi concreti quali carenze organizzative (carenza medici, infermieri o personale di supporto).
Così come sostenuto da autorevole dottrina, si può concludere che ormai non si possa più parlare di responsabilità del medico, ma di responsabilità medica, in quanto non può più ritenersi in considerazione solo il rapporto medico-paziente in una visione del tutto privatistica della medicina, ma occorre considerare il rapporto fra “paziente” e “sanità”, sia essa pubblica o privata. Il concetto di responsabilità professionale è quindi passato dalla classica, e ormai teorica, responsabilità del singolo medico nei confronti del paziente, alla più reale responsabilità civile e penale dell’équipe sanitaria e quindi della intera struttura sanitaria. Spesso i medici possono risultare imputabili per errori riconducibili a carenze organizzative, non direttamente addebitabili al proprio operato, come il caso in cui nei turni di servizio mancano i medici. Infatti, se un libero professionista è responsabile del corretto funzionamento dell’apparecchiatura presente nel proprio ambulatorio o l’assenza di altre figure professionale che lo coadiuvano, non altrettanto può dirsi per il medico dipendente ospedaliero relativamente alla presenza di colleghi medici sui turni o al corretto funzionamento delle apparecchiature d’uso, alla sterilità dei ferri e della presenza o meno di anestesisti in sala operatoria e così via. E’ ormai consolidata la possibilità di ammettere una responsabilità penale della struttura (già pacificamente ammessa in ambito civilistico), con conseguente ovvia ricerca dei singoli amministratori a cui addebitare i singoli comportamenti colposi e dolosi.
Pertanto, nel caso in cui possa intravedersi la responsabilità penale dell’azienda (ad esempio, la carenza di medici, anestesisti, infermieri o rianimatori in sala operatoria sui turni di servizio di reparto) potrà essere direttamente chiamato in causa il Direttore Generale (responsabile dell’organizzazione amministrativa e gestionale), il Direttore Sanitario (deputato a dirigere i servizi sanitari ai fini organizzativi e igienico sanitari), i funzionari (se a capo di uffici dotati di autonomia gestionale), ovvero il Direttore Amministrativo. Nonostante il responsabile di un fallimento terapeutico rimanga pur sempre il medico, tuttavia esso rappresenta solo l’anello terminale di una lunga catena costituita da un sistema complesso qual è quello di una struttura sanitaria.
Sarebbe opportuno, quindi, considerare ed accertare che la responsabilità professionale medica non sempre è legata unicamente alla condotta colposa personale (commissiva od omissiva) del sanitario, ma ad una serie di ulteriori fattori che devono essere debitamente considerati. Lo sforzo dei professionisti che lavorano non basta, perché la corsa in ospedale deve essere l’unica cosa che ci separa tra la vita e la morte e non può e non deve succedere che la malaorganizzazione faccia diventare proprio l’arrivo e la permanenza in ospedale il vero problema del paziente. Quindi al Procuratore della Repubblica chiediamo di accertare questo: 1) Attualmente l’Ospedale Rummo di Benevento è un posto a cui un paziente può affidarsi in sicurezza? 2) La Direzione ha rispettato tutte le norme ed ha permesso alla ginecologia di essere un luogo organizzativamente sicuro quel tragico giorno?”.