Il diritto dei sofferenti psichici di ottenere cure appropriate è troppo spesso negato dalla Asl di Benevento. Perciò ieri mattina, nel Palazzo del Volontariato, la Rete Sociale onlus ha presentato un dossier di denuncia al Difensore Civico della Regione Campania, Avv. Giuseppe Fortunato e una proposta concreta di solidarietà: una “Fondazione per i più fragili” di cui è promotrice Serena Romano nella duplice veste di presidente della Rete Sociale e di sorella di Paola Romano, morta nel 2007 sull’aliscafo della Siremar-Tirrenia schiantatosi sulla scogliera del porto di Trapani. In memoria di Paola, la Romano ha donato 45.000 euro per il fondo della Fondazione – di cui si riparlerà in dettaglio a pratiche notarili concluse – che raccoglierà le donazioni di parenti di sofferenti psichici preoccupati per il ”dopo di noi” e di cittadini solidali: fra questi, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e l’attore Alessandro Preziosi attivi nel Comitato Promotore della Fondazione.
COME NASCE LA DENUNCIA AL DIFENSORE CIVICO
Il Difensore Civico il 9 ottobre scorso ha concluso un’istruttoria (protocollo n. 0017004/U) sollecitata da famiglie e associazioni come l’ANGSA, sull’inadeguatezza dell’assistenza ai malati “autistici”, che in Campania e a Benevento superano la media di 1 ogni 60 abitanti. Ma il fulcro del problema individuato dal Difensore, non riguarda solo gli autistici, bensì tutti i malati psichici che vorrebbero essere curati con terapie efficaci, oggi possibili, e invece sono sottoposti a sistemi di cura inappropriati. Scrive infatti l’avv. Fortunato che dai “dati riportati” emerge che “non si applicano le nuove metodologie personalizzate fondate sull’attenzione al caso singolo… “ perchè in Campania c’è un “contrasto a innovazione e umanità” provocato da interessi economici: “… il giro di affari, legato alla logopedia e alla psicomotricità in Campania fa parte di un pacchetto di 300 milioni di euro annui, per lo più spesi per terapie vecchie, costose, non in linea con quanto ha evidenziato la ricerca moderna, recepita in Italia già dal 2012…. perché per comodità e interesse di pochi, il business delle vecchie pratiche continua”. E per esemplificare la gravità del fenomeno, il Difensore ricorre a una metafora: “consentire agli operatori privati di smerciare prodotti e servizi scaduti… equivale ad accettare di avere in circolazione cibi avariati. Il che non è giuridicamente e moralmente accettabile”.
Come risulta, dunque, anche dal dossier consegnato dalla Rete Sociale al Difensore, il problema degli autistici è analogo a quello di altri malati psichici che chiedono un Progetto Terapeutico Riabilitativo Individualizzati (PTRI) – scientificamente valido ed economicamente sostenibile – ma sono sottoposti a inappropriati e costosi ricoveri di tipo “manicomiale” in case di cura private o altre forme di riabilitazione inefficaci.
Una situazione inaccettabile: anche perché sia le cure agli autistici con ”metodi basati sulle più avanzate evidenze scientifiche” (come prescrive l’art. 60/DPCM 12-1-2017), sia i PTRI, sono definiti LEA: cioè, Livelli Essenziali di Assistenza che per nessun motivo possono essere negati al cittadino. Neanche per mancanza di risorse economiche. Anzi, laddove la mancanza di fondi è sollevata dalla Asl per giustificare il mancato servizio, vuol dire che è responsabile chi non ha provveduto a programmare la spesa trovandosi, così, con i conti “scoperti”.
E già nel 2016 il presidente della Giunta Regionale, De Luca raccomandava ai responsabili di Asl e Comuni (con il decreto n. 91070) “di organizzare… e programmare” i LEA onde “fornire una tempestiva, continuativa, efficace, risposta ai bisogni dei cittadini”: perchè in caso di inadempienza, come ammonisce ora anche il Difensore, i responsabili sono obbligati a “risarcire il cittadino dal danno legato al mancato adempimento dei LEA”.
La mancanza di risorse si rivela dunque pretestuosa o infondata, come sottolinea il Difensore Civico, prendendo ad esempio proprio Benevento: “La Pubblica Amministrazione sanitaria … contesta la mancanza di risorse, ma da un esame coordinato pubblico-privato in Campania, ciò non risulta… l’ASL di Benevento che ha tanto tardato il varo dei terapisti necessari per i malati autistici (non pagati da aprile 2018), ha deciso di utilizzare 1,8 milioni di euro per la sanità privata…” Un dirottamento verso il “privato” anziché verso i LEA-PTRI, segnalato al Difensore anche dalla Rete Sociale che chiede: “Perché l’Asl di Benevento non ha ripartito questi 1,8 milioni di euro inutilizzati sui vari settori dell’Asl riqualificando la spesa per LEA e PTRI, come prevede il DCA 16/2013? E perché non ha rispettato neanche il DCA 85/2016 che impone di incrementare del 10% il budget annuale assegnato ai PTRI che, invece, dal 2015 è sempre lo stesso?
Insomma, se è vero che la legge individua le fonti di finanziamento per i PTRI, ma l’Asl di Benevento non le utilizza; e se è vero che a chi chiede un PTRI si risponde: “non ci sono i soldi”; questo rischia di diventare un pericoloso scaricabarile di responsabilità fra dirigenza Asl, Distretti e DSM. Il direttore generale della Asl, infatti, nell’incontro pubblico del 28 novembre scorso a Cerreto Sannita ha declinato ogni responsabilità: “Non ho mai rifiutato servizi per mancanza di risorse. Noi rispondiamo ai medici che ci indicano i fabbisogni: se non lo fanno, rivolgetevi al DSM”. Ma in realtà, il direttore sanitario della Asl, D’Alterio, ha contestato e annullato proprio le decisioni dei medici prese in UVI: cioè, nell’Unità di Valutazione Integrata, l’organo incontestabile e sovrano nell’indicare la terapia più idonea al paziente. Perciò la Rete Sociale ha chiesto al Difensore: in base a quale normativa D’Alterio si è arrogato tale diritto? E poichè il Direttore Sanitario ha chiesto anche ai Direttori di Distretto di ridefinire i setting assistenziali per verificarne la correttezza e questi glielo hanno contestato, chi ha ragione? Lui o i Direttori che, su parere di un legale, hanno risposto che entrare nel merito di prestazioni LEA già ritenute necessarie e appropriate, li esporrebbe al rischio di risponderne penalmente, civilmente e contabilmente?
PERCHE’ CREARE UNA FONDAZIONE
Attendiamo, dunque, le risposte a questi interrogativi. Ma i malati non possono aspettare. Perciò nasce la Fondazione: per colmare i vuoti di assistenza creati dall’attesa e per sostenere le cooperative sociali e il volontariato che si stanno facendo carico di inaccettabili abbandoni da parte del Pubblico e del Dsm. Così, la Fondazione ha già compiuto un gesto solidale: pochi sanno che il Centro “E’ più bello insieme” – preso di mira dal Comune anche bloccando i pagamenti dal 1 maggio al 31 agosto – non ha mai smesso di funzionare, grazie agli operatori sempre presenti e grazie al pagamento dei loro stipendi con le elargizioni del “5 per mille” e con 7.000 euro già prelevati dal fondo dei 45.000 destinato alla costituenda Fondazione. I disabili, infatti, non potevano aspettare.