“La notizia della chiusura dell’azienda Moccia, non può lasciarci indifferenti, non solo per gli importanti riflessi occupazionali (40 diretti e 110 nell’indotto), ma anche perché la Moccia rappresenta l’ultimo stabilimento di laterizi in Campania.
Con l’adozione del PRAE nel 2006 si era sperato di aver dotato il comparto di una regolamentazione in grado di poter accelerare i processi e dare certezza agli operatori del settore, che hanno investito fior di milioni per acquistare i terreni e poter dare una continuità aziendale garantendo occupazione per i loro operai.
Ma i meccanismi estremamente farraginosi, uniti ad un sistema di veti incrociati per il quale tutti sono autorizzati a dire la propria e nessuno è responsabile dello stallo, ha portato al totale tracollo del settore.
Oggi in Campania sono sparite le industrie del cemento, dei laterizi e della calce che hanno già delocalizzato in altre regioni, creando ripercussioni significative a livello occupazionale. Un settore che vale oltre 4 miliardi di euro e 4.000 occupati.
“Abbiamo sollevato la questione della Moccia oltre due anni fa” spiega Filippo Liverini presidente di Confindustria Benevento. “accompagnando l’azienda in tutti i tavoli istituzionali. Sono stati tenuti incontri con gli uffici del genio civile, con la regione, l’avvocatura e siamo arrivati ad organizzare una manifestazione di piazza unitamente ai sindacati, sotto la Prefettura per chiedere attenzione su un problema che non riguarda solo la Moccia, ma che appartiene ad un intero comparto. Abbiamo supportato le nostre istanze anche con documenti tecnici e proprio oggi, per il tramite dell’ANCE Benevento, abbiamo consegnato un documento di osservazioni al PRAE condiviso da ingegneri, architetti, geologi, agronomi e geometri della provincia di Benevento. Ma i tempi della politica e della burocrazia non sono quelli delle imprese. Quante altre aziende dovranno chiudere prima che le cose cambino? “
“Entro qualche mese” spiega Mario Ferraro Presidente di ANCE Benevento “il costo dei prodotti legati all’edilizia subirà un incremento del 20%. E’ la naturale conseguenza di un sistema costretto ad approvvigionarsi fuori regione, sostenendo costi di trasporto che incidono sul prodotto finito e che si ripercuotono sui consumatori finali.
La nostra rabbia viene dal fatto che la Campania ha la materia prima e che esiste un piano nel quale sono state previste le quantità da estrarre e i luoghi in cui farlo, perché è nostro interesse preservare il territorio.
Ma se oggi mancano all’appello 11 milioni di tonnellate di calcare a causa di un fabbisogno che è molto superiore rispetto alla produzione, e se gli uffici non sono in grado di portare a termine le procedure autorizzative, la conseguenza è solo quella di alimentare l’abusivismo.
Non possiamo lasciare un settore così strategico e decisivo in mano alla burocrazia: occorrono 12 pareri e una istruttoria che nella migliore delle ipotesi dura dai 4 ai 6 anni, per ottenere un’autorizzazione. A Benevento dal 2006 nessuna cava è stata autorizzata e bisogna capire che a farne le spese sono solo le imprese serie.
Credo che si tratti dell’ennesima sconfitta di un sistema dal quale nessuno deve sentirsi escluso, che non riesce a preservare il proprio patrimonio economico ed imprenditoriale e che piuttosto che snellire le procedure preferisce rinunciare ad imprese e posti di lavoro.
Oggi la burocrazia costa oltre 50 miliardi al paese eppure semplificare non è la priorità di nessuno.
Dobbiamo essere capaci tutti di rompere questi schemi, di uscire allo scoperto e di cercare, insieme le soluzioni vere ai problemi senza trincerarci dietro procedure e normative che portano il solo fallimentare risultato della chiusura delle aziende.
Non possiamo fare scelte diseconomiche e non sentircene la responsabilità.
La chiusura dell’azienda Moccia può rappresentare lo spunto per ritornare su questioni irrisolte.”