le notizie relative all’Aquarius – imbarcazione vagante per il Mediterraneo che non trasporta pesci nelle proprie reti, ma fragili, inermi esseri umani – non possono lasciarci indifferenti né, ancor meno, vederci tra coloro i quali alzano la voce per urlare che “ognuno deve starsene a casa sua”. Non dobbiamo, in quanto cristiani, unirci a un tale coro, poiché il Signore Gesù ha insegnato tutt’altro, con la parola e con la vita. Sento perciò mio dovere, in questo momento, dire una parola chiara in proposito non solo alla mia Chiesa: mi rivolgo perciò ai Confratelli che con me condividono l’Ordine sacro del sacerdozio e del diaconato, agli Operatori pastorali impegnati a vario titolo negli uffici diocesani, nelle diverse comunità parrocchiali e nelle varie realtà ecclesiali, ai cristiani praticanti, a quanti, pur non vivendo una pratica religiosa, si riconoscono credenti, a quanti in tutta sincerità credono in un Dio che non è il Dio di Gesù Cristo e a tutti gli uomini di buona volontà.
In quella pagina straordinaria conosciuta come “il giudizio universale”, il Maestro afferma: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). È in ragione di ciò che san Giovanni della Croce ci ricorda come alla sera della vita saremo giudicati sull’amore. Torna quindi attuale il monito di san Giovanni Crisostomo, il quale avverte che non possiamo gioire onorando il Cristo con gli arredi sacri e poi disprezzarlo nella persona dei poveri, perché quello che vorremmo adorare dentro il tempio e poi rifiutare al di fuori del tempio è sempre il medesimo Figlio di Dio.
Quale tristezza, dunque, danno gli eventi di questi giorni per quanti desiderano seguire le orme di Cristo (1Pt 2,21), tanto più se si ha la consapevolezza che sulla sorte di quei disgraziati si costruiscono le fortune di altri, siano esse fortune politiche o economiche, stante il business da molti avviato a riguardo.
Non possiamo dimenticare, ad esempio, come pochi mesi fa l’Austria avesse persino minacciato d’inviare i carri armati ai confini con l’Italia per salvaguardare il proprio territorio dall’invasione migratoria, quando era ben noto a tutti che il Brennero non era sulla rotta dei migranti. Quella voglia sfacciata di mostrare i muscoli su un ringdeserto, dal momento che già si sapeva che l’avversario da lì non sarebbe passato, si risolse tuttavia in un significativo guadagno in termini di consensi elettorali, il che la dice lunga sugli umori della popolazione. Neppure dobbiamo scordare che qualche tempo addietro, al largo delle acque greche, si giunse a sparare su gommoni pieni di gente indifesa. Ora, noi non possiamo tacere come tutto ciò, il costruire cioè le proprie fortune sulla pelle altrui, sia altamente immorale!
Certamente il fenomeno migratorio va affrontato con intelligenza: è un problema, questo, che richiede competenza, coraggio, generosità, un’ampia visione strategica, ed esige, al tempo stesso, rispetto delle regole sia da parte dei paesi che accolgono sia da parte delle persone che ricevono accoglienza. Il tema è di una portata tale che non consente semplificazioni assolutizzanti, spesso invece proposte – da una parte o dall’altra – quali soluzioni risolutorie.
Di una cosa possiamo esser certi, che non sarà possibile arrestare il fenomeno, perché i bisogni prodotti dalla fame, la crescente desertificazione d’intere zone del pianeta a causa dello sfruttamento selvaggio del territorio, gli sconvolgimenti climatici continueranno a generare una massa crescente di poveri disperati, disposti a tutto pur di fuggire dalla situazione nella quale si vedono intrappolati. Al contempo, è pure illusorio dire che bisogna creare sviluppo nelle terre d’origine di questi uomini e donne, favorendone la permanenza nei loro paesi, perché prima da lì dovrebbero andarsene gli stessi che vorrebbero crearvi sviluppo: gran parte dei territori del terzo e quarto mondo sono infatti dominati da multinazionali che certo non risparmiano lo sfruttamento dei terreni e del sottosuolo, contribuendo a creare, sul posto, nuove sacche di povertà.
Se le otto persone più ricche del mondo possiedono quanto tre miliardi e seicento milioni di propri simili, com’è possibile sperare che tutto ciò non finisca per produrre sconvolgimenti e tensioni dei quali non possiamo prevedere la portata?
Il vero problema, in realtà, è il nodo economia-politica: negli ultimi trent’anni, infatti, la politica ha finito per abdicare sempre più al proprio ruolo, lasciando campo libero all’economia, con conseguenze che non possono essere che disastrose. Il livello stesso del dibattito politico si è progressivamente abbassato, al punto da ridurre le capacità argomentative di tutti coloro che dovrebbero sentirsene coinvolti, siano essi rappresentanti della cosa pubblica o semplici cittadini.
Se poi, per tornare al fenomeno migratorio, volessimo dirla tutta, allora dovremo ammettere pure che “noi”, cioè gli abitanti del nord del mondo, in realtà abbiamo bisogno di “loro”, cioè di quelli che bussano alle nostre porte: senza immigrati, infatti, dove troveremmo le badanti necessarie per i nostri anziani, gli operai per i forni, i manovali per l’edilizia, coloro che curano e mungono le nostre mucche e badano al nostro patrimonio zootecnico, quanti prestano la loro opera nei campi? E quante volte costoro vengono sottoposti a orari massacranti con una paga che resta molto al di sotto del valore del lavoro da essi prodotto? Ancora, quante classi scolastiche, in piccoli centri, si sono salvate e si salvano proprio per la presenza dei figli degli immigrati? Neppure può dirsi che “vengono a togliere il lavoro agli italiani”, perché in realtà fanno lavori per i quali si fatica a trovare mano d’opera. Altri paesi occidentali hanno del resto già compreso il valore della posta in gioco e hanno adottato una politica diversa: basti considerare quanto le presenze “straniere” in Italia siano numericamente insignificanti rispetto alla Francia e alla Germania.
Né possiamo dimenticare che l’Italia, terra di migranti e sottoposta essa stessa a un rilevante fenomeno migratorio interno (dal sud verso il nord), è un paese che invecchia progressivamente. Nelle aree interne, molti piccoli centri si svuotano ogni anno di più: vi restano in prevalenza le persone anziane, sulle quali sembra scendere, sempre più, un velo di tristezza. La nostra amata Diocesi costituisce, di ciò, un esempio significativo. Ora, proprio i centri soggetti a spopolamento, dove gli affitti sono più bassi e dove è facile trovare case perché sono moltissime quelle vuote, potrebbero diventare dimora ideale per molti che giungono nel nostro paese. Il fenomeno migratorio, quindi, da problema potrebbe divenire un’effettiva risorsa, se affrontato con intelligenza, altruismo e supportato da progetti di ampio respiro.
A Petruro Irpino, il più piccolo Comune della Diocesi (180 abitanti), ho amministrato – negli anni scorsi – il battesimo a due bambini, evento che non si verificava ormai da diverso tempo: erano due bambini di colore, figli di coppie che in quel centro hanno stabilito la propria dimora, accolte con affetto dalla popolazione locale che vede in tal modo rinascere la speranza. Quei piccoli che gironzolano per il paese, coccolati da tutti, vezzeggiati e forse anche viziati, hanno restituito il sorriso a molti nostri anziani e non solo a loro.
Forse anche Gesù Bambino fece sorridere qualcuno degli anziani vicini, quando con Giuseppe e Maria fu esule in terra d’Egitto. La Santa Famiglia ci aiuti dunque a unire le nostre forze: come Chiesa siamo infatti chiamati a svolgere un’opera di evangelizzazione che su tali questioni non può assolutamente tacere, ma deve piuttosto aiutare le coscienze a maturare una visione ampia e ragionata del problema, senza dimenticare il valore e il primato della persona umana.
Nell’invocare l’intercessione di Giuseppe e Maria, di fatto anch’essi dei rifugiati politici (furono costretti a fuggire dalla Palestina perché Erode voleva ucciderne il figlio), tutti voi benedico di cuore”. (Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento