Ne va della democrazia e della tenuta sociale. Ne sono convinti i relatori intervenuti ieri alla Prolusione dell’undicesima edizione di CIVES – Laboratorio di formazione al bene comune, che ha come tematica “Generare vero sviluppo ascoltando il grido dei poveri” ed è promosso dall’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Diocesi di Benevento in collaborazione con il Centro di Cultura “R. Calabria” e l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Gli interventi per contrastare la povertà sono stati al centro della riflessione. La situazione attuale di precarietà economica e di disuguaglianza sociale è tale da richiedere un intervento massiccio e immediato in un tessuto sociale che rischia di incancrenirsi e fossilizzarsi in un punto di non ritorno. In sintesi questo è l’allarme lanciato dai relatori. L’impegno di tante organizzazioni cattoliche e laiche si sta concentrando sulla necessità di richiamare i singoli, gli educatori e, in primis, la politica, a misure di affrancamento dalla crisi che, partita con i connotati di un depauperamento economico, mina ora la stabilità sociale e la stessa democrazia. “Il patto sociale è venuto meno”, lamenta Ettore Rossi, direttore dell’Ufficio per i Problemi Sociali e il Lavoro della Diocesi di Benevento. “La generazione dei “Millennial”, i nati tra il 1980 e il 2000, e quella “Zeta”, i nati dopo il 2000, non hanno più la prospettiva – come è stato per noi – di migliorare la loro condizione rispetto ai propri genitori. I dati Istat ci comunicano situazioni di estrema precarietà: nelle varie aree italiane è in aumento il fenomeno della povertà assoluta, di chi è costretto a organizzare la propria vita intorno ad un budget di 500 euro o poco più. Tra i poveri assoluti vanno annoverati anche giovani e minori che si rivolgono sempre di più alla Caritas. Basta pensare proprio al destino dei bambini che nascono in famiglie povere. Se non si riesce a tirar fuori dalla miseria le loro famiglie, essi da adulti hanno molte probabilità di vivere un’esistenza che li lascerà ai margini della comunità. Il decreto legislativo che ha istituito il REI, reddito di inclusione operativo a partire da gennaio 2018, è indiscutibilmente una misura importante, capace di garantire livelli minimi esistenziali, ma non può essere la soluzione. “Finiremo per creare povertà di serie A e povertà di serie B, non potendo garantire supporto economico a chi, anche se di poco, sarà fuori dai parametri per ricevere il sussidio”. E’ di questa opinione Danilo Parente, presidente provinciale delle ACLI di Benevento. La nostra Carta costituzionale, che agli articoli n. 2 e 3 garantisce democrazia e lavoro, rischia di dover essere rimaneggiata, perché non più in grado di garantire lavoro e la stabilità sociale che ne consegue. La globalità ci ha inseriti tutti in un grande calderone in cui si condividono le stesse problematiche. E’ necessario e non più rinviabile una politica che miri al long life learning e alla formazione ai nuovi lavori. L’industria 4.0 acutizza il problema dell’assenza di lavoro. La robotica invade e pervade ogni campo lavorativo e si prevede, secondo i dati riportati da Roberto Rossini, Presidente nazionale delle Acli e portavoce di “Alleanza contro la povertà”, che nei prossimi dieci anni diremo addio ad alcuni lavori che non saranno più richiesti, a favore di altri, di cui oggi fatichiamo a riconoscere la necessità. Seconda una nota ricerca inglese nei prossimi dieci anni il mercato del lavoro richiederà di formare costruttori di parti del corpo, nano-medici in grado di operare con le nanotecnologie, chirurghi capaci di intervenire per l’aumento della memoria, piloti spaziali, agricoltori verticali, avvocati virtuali per dirimere questioni nate nel mondo virtuale, sviluppatori di mezzi di trasporto alternativi, responsabili per lo smaltimento dei rifiuti dei dati personali sul web, responsabili della gestione della vita digitale, assistenti sociali per i social network per la cura di persone traumatizzate dall’avere pochi “like”, personal brander (si occupa di definire insieme al professionista cliente che tipo di identità e personalità vuole trasmettere e lo aiuta a sviluppare il networking in maniera veloce e virale attraverso i nuovi canali social Facebook, Twitter, etc. n.d.r.). “La povertà cozza con stili di vita elevati di cui non riusciamo più a fare a meno”, sostiene il presidente nazionale delle ACLI. Abbiamo bisogni incomprimibili, come il possesso del telefonino, che reputiamo ormai essenziale e non accessibile a tutti per gli alti costi. Poi cita Bauman e la sua teoria secondo cui l’economia vigente induce i desideri e perciò crea povertà. La squilibrata distribuzione del reddito crea diseguaglianza e disagio sociale. Si assiste ad un ritorno di fantasmi del passato: differenze di sesso, religione, opinione politica, status sociale condizionano la distribuzione del reddito. L’alternativa proposta da Rossini è di attivare piuttosto la “logica del legame”, che vede impegnati professionalità e competenze diverse per fare impresa e coesione sociale. Alla politica attiene il compito di misure lungimiranti. Ben venga il REI o reddito di inclusione sociale, ma ci mette in guardia il presidente ACLI: “non si può ritenerlo risolutivo della povertà”. S.E. Mons. Accrocca Arcivescovo di Benevento anticipa il pensiero di Rossini e lamenta la difficoltà a riconoscere nell’attuale società i germi della dissoluzione. Corsi e ricorsi storici inducono a pensare che momenti come questi siano già stati vissuti. La Bibbia ci parla di vacche grasse e di vacche magre, di esodi e di antiche forme di globalizzazione. Oggi come allora la povertà è invisa perché riflette la paura di diventare poveri noi stessi. “Risolverla”, dice Mons. Accrocca, “non è solo una questione di solidarietà, è piuttosto un problema di giustizia. E conclude: “Il vestito che non usi più è quello che manca al povero, il cibo che ti avanza è quello che manca al tuo prossimo”. L’invito è alla rieducazione sentimentale e al rispetto per l’altro e per la vita, in tutte le sue forme per evitare che la piramide sociale si allarghi sempre più alla base. Le agenzie educative, in primis la famiglia, la scuola e la parrocchia sono chiamate ad orientare positivamente il cambiamento.