Domani avvenne. Correva l’anno 1992 e a Capaci la mafia corleonese dichiarava guerra allo stato. Con gli “attentatuni” di Capaci e via D’Amelio Cosa Nostra uccideva Falcone e Borsellino e gli uomini della scorta dando inizio alla stagione cosiddetta “militare”, una strategia tesa a costringere lo Stato e la politica, quella border line, al rispetto dei patti intercorsi fino a quel momento. Patti di potere, di controllo degli appalti e del consenso per esercitare l’imperio, dentro e fuori dell’isola. Chi negli anni si è messo di traverso nei confronti di questo apparato politico-mafioso, ha pagato con la vita. Per ricordare le vittime, da Emanuele Notarbartolo ai fatti del 1992, in Prefettura una mostra che fa da prologo al libro del generale Melillo “Luci dal Buio- Mafia ed Antimafia: immagini per non dimenticare” una rassegna fotografica che ripercorre per intero la sanguinosa stagione dalla fine degli anni 70 finiVittime di mafia a Capaci e via D’Amelio, il racconto di uno spaccato della nostra storia recente su cui è imperativo esercitare il dovere della memoria.
Dalla Prefettura all’Auditorium di Sant’Agostino per approfondire il discorso sulla lotta alla mafia insieme alle più alte cariche politiche e militari della città e non solo, alla Polizia di Stato alle Istituzioni. Assente il Procuratore Nazionale Antimafia Roberti in compenso la sala era piena di ragazzi e questo è un segnale importante per il contrasto alla criminalità. Spietata e senza dignità come ha raccontato ne “Il giardino della memoria” Martino Lo Cascio, psicologo, autore e regista di documentari e opere teatrali, che ha letto alcuni brani relativi al rapimento e all’uccisione di Giuseppe Di Matteo, il ragazzino figlio del boss Santino, tra i responsabili dell’attentato di Capaci, ucciso poi sciolto nell’acido per ritorsione nei confronti del pentimento paterno. La vicenda dei 779 giorni di prigionia e il freddo racconto dell’efferato assassino reso ai magistrati durante il processo nel 1998. Tornano le parole di Peppino Impastato che definiva la mafia una montagna di merda o quelle di Borsellino che si appellava proprio alla gioventù il cui consenso negato avrebbe sentenziato la fine di Cosa Nostra.