La sezione beneventana di Archeoclub d’Italia di cui è Presidente il Prof. Michele Benvenuto, ha organizzato un’interessante visita culturale che si è svolta domenica 2 aprile 2017. Si è partiti, come prima tappa, alla volta di Santa Maria Capua Vetere, per ammirare l’Anfiteatro. Di epoca romana, secondo per grandezza dopo il Colosseo, fu costruito tra la fine del I e gli inizi del II secolo dopo Cristo. La cavea poteva ospitare 40.000 persone; era utilizzato per gli spettacoli gladiatori e presentava originariamente quattro piani di altezza con 80 arcate realizzate in pietra calcarea; le gradinate erano rivestite di marmo. Il piano dell’arena era costituito di assi di legno che venivano cosparse di sabbia per permettere lo svolgimento dei combattimenti. Al di sotto i sotterranei ancora oggi visitabili, che si intersecano come labirinti, raggiungibili attraverso l’ingresso principale e che consentiva di condurvi le gabbie degli animali che sarebbero stati impiegati negli spettacoli, senza passare dai porticati.
L’Anfiteatro è famoso perché è il luogo da dove il condottiero e gladiatore Spartaco guidò la rivolta che per due anni tenne sotto scacco Roma nel periodo precedente il Triumvirato. Annesso all’ Anfiteatro si è visitato il Museo dei Gladiatori dove è esposto il plastico che riproduce lo stato attuale dell’edificio ed il suo aspetto originario. Tra due vetrine in cui sono esposti calchi di armi gladiatorie e maschere usate durante i combattimenti, è stato molto interessante osservare un diorama (raffigurazione con un particolare tipo di illuminazione che riesce a dare al pubblico l’illusione di un panorama reale) e si può vedere un gladiatore “reziario” che combatteva senza protezione, armato solo di rete e di un tridente. E’ stato molto piacevole percorrere a piedi l’area archeologica di grande respiro, ben tenuta e circondata di zone erbose disseminate, in questa primavera, di graziose ed allegre margherite. La visita è continuata nel Museo di Capua che si trova nell’antico Palazzo Antignano presenta sale molto luminose ed ordinate con una buona disposizione dei numerosi reperti archeologici offerti agli occhi dei visitatori. Le statue delle Matres Matutae per cui è molto noto, sono disposte nelle sale superiori del Museo, illuminate con grande effetto e si ha l’impressione di entrare in quello che era il Santuario nella cui area sono state ritrovate. Ma cosa sono queste strane statue e che rappresentano? Sono sculture in tufo rinvenute in gran numero (oltre 130 statue) nel Fondo Patturelli, nei pressi dell’antica Capua, nel 1845. Tutte le statue hanno bambini in fasce tra le braccia ma ne è stata rinvenuta una che invece di neonati, ha in una mano una melagrana e nell’altra una colomba; questa statua rappresentava la divinità tutelare del Tempio, la Bona Dea o Damia.
La Dea era la divinità italica dell’aurora e della nascita. Le altre sculture sono considerate ex voto offerte alla Dea per propiziarsi la maternità o per ringraziamento per aver avuto dei figli. Alcune sono brutte come rospi, altre hanno aspetto più gradevole; c’è la prima statua rinvenuta, molto semplice, e con un solo accenno di lineamenti e di seno tanto che è stata definita “picassiana” dal critico d’arte Vittorio Sgarbi perché ricorda i dipinti di questo artista. Un’altra statua, stranamente, ha l’aspetto di un uomo che reca un bambino in braccio e, quindi, è un padre che fa l’offerta votiva. C’è una statua che ha addirittura dodici figli tra le braccia. Le sculture che, nei primi tempi sono esili, in seguito raffigurano donne molto floride perché un fisico robusto era garanzia di fertilità. Le Matres sono tutte sedute su di una poltrona che è la sedia gestatoria usata per partorire; senza fondo, aperta per far scorrere i liquidi del parto, era dotata di maniglie sui braccioli per permettere alle donne di aggrapparsi durante gli sforzi del parto. Lo sguardo delle Matres è sempre fisso, rivolto verso l’alto, diretto alla Divinità.
Dal Museo ci si è spostati alla Cattedrale dedicata ai Santi Stefano ed Agata; fondata nell’856 e fatta ristrutturare dal Vescovo Niccolò Caracciolo nel 1704 e da Mons. Gennaro Cosenza nel 1854-57 ad opera dell’architetto Federico Travaglini, nel 1943 fu semidistrutta dai bombardamenti. Molto suggestiva è la Cripta dove vi è conservata la statua di Cristo morto di Matteo Bottigliero, ispirata ad un quadro di Solimena e simile al Cristo velato della Cappella Sansevero di Napoli. Non ci si poteva non fermarsi ad ammirare la cappella del Sacramento con la statua della Madonna detta del Cardellino perché Gesù bambino sorridente, seduto sulle sue gambe, regge in mano una gabbia contenente il volatile. Pregevole un cero pasquale finemente lavorato e la statua della Mater Dolorosa con abiti di antica fattura, che viene fatta uscire per la solenne processione del venerdì santo. Ultima tappa della gita è stata Sessa Aurunca dove una vera sorpresa è stata la Cattedrale di San Pietro e Paolo, di architettura romanica, realizzata nel XII secolo con il materiale di spoglio del Teatro Romano.
Meraviglioso il pavimento in mosaico policromo. Come pure l’ambone del XIII secolo ricco di pregevoli mosaici. Particolarmente ammirata la Fontana monumentale dell’Ercole di Angelo Solari; Ercole era il fondatore della città ed è il simbolo nello stemma civico. L’opera, in marmo bianco, rappresenta la prima delle 12 fatiche dell’eroe: Ercole che strozza il leone Nemeo. Dall’alto di un punto panoramico della città si è potuto godere lo spettacolo del Teatro Romano, ben conservato nel tempo, con una cavea di 110 metri di diametro, poteva ospitare ben 8000 persone. Poco distante, il criptoportico. In lontananza, il Golfo di Gaeta. La visita culturale è stata diretta principalmente alla conoscenza dell’Anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere per dar seguito alla conferenza in precedenza tenuta dall’illustre prof. Luigi Iannace (II° Università Federico II di Napoli) durante la quale mostrava la ricostruzione virtuale dell’opera confrontandola con quella assai minore di Benevento.
Purtroppo, il dramma dell’Italia contemporanea, e la città di Benevento, per stare al passo, non si fa mancare la sua parte, sono le incompiute; cioè quelle attività che vengono avviate, per non essere mai portate a termine o, se ci si riesce, in tempi biblici, per cui occorre ricominciare almeno due o tre volte per ritrovarsi quasi al punto di partenza, se non peggio. Questo vale anche per l’Anfiteatro Romano di Benevento il cui inizio dei lavori di studio per un suo eventuale recupero fu salutato come una grande occasione ed opportunità di conoscenza e di sviluppo. Adesso una desolata tettoia ripara quei resti abbandonati e negletti: domanda: ma non sarebbe stato meglio se i reperti fossero stati protetti dalla terra che li aveva ricoperti per secoli, al sicuro almeno da intemperie e dall’ incuria e dalla presunzione arrogante degli uomini? Domanda e risposta sono nel vento.