MILANO – Negli ultimi 35 anni – secondo la Fondazione Intercultura – chi ha viaggiato all’estero per motivi di studio ha ottenuto risultati migliori all’università e un lavoro soddisfacente. Anche perché la scuola italiana è ancora troppo poco internazionale. L’84% di coloro che sono partiti per andare a studiare per un periodo più o meno lungo all’estero (e oggi hanno più di 22 anni) come minimo si è laureato, con voti più alti della media. E il 34% ha addirittura deciso di fermarsi fuori (o di ripartire in un secondo momento) per conseguire anche il titolo universitario oltre i confini nazionali, soprattutto se il viaggio giovanile lo aveva fatto in Asia, un continente che evidentemente ha un coefficiente di attrazione altissimo.
Potrebbe sembrare una coincidenza ma il campione analizzato suggerisce di prendere sul serio una statistica del genere. L’Osservatorio, infatti, ha incaricato il famoso istituto di ricerca Ipsos di interpellare tutti quelli che durante l’adolescenza hanno passato da un minimo di tre mesi a un intero anno scolastico fuori dall’Italia per motivi di studio. Non negli ultimi 5 anni, neanche negli ultimi 10: dal 1977 al 2012. Trentacinque anni nel corso dei quali la tendenza è sempre stata costante, per milioni di studenti.
Chi ha viaggiato, inoltre, ha avuto una vita ricca di soddisfazioni non solo sul piano scolastico. Il 41% degli intervistati si è detto più maturo e consapevole di sé proprio grazie all’esperienza estera. Ma, soprattutto, ha trovato lavoro più facilmente: la disoccupazione si ferma al 9% del campione, “solo” al 16% nel caso degli under 30 (mentre il tasso di disoccupazione dei giovani laureati italianai è attorno al 24%).
Dati che, però, vanno in controtendenza rispetto alla
situazione attuale. Di fronte a un quadro del genere, la nostra scuola dovrebbe incentivare i ragazzi a partire. Invece, da anni, sta accadendo l’esatto contrario. Poco stimolante la proposta per gli studenti stranieri (che infatti arrivano in numero sempre minore), praticamente nulla quella per i connazionali. Basti pensare che, oggi, le scuole hanno difficoltà persino ad organizzare persino gite scolastiche oltreconfine. Solo il 57% degli istituti ne riesce a fare almeno una nel corso dei cinque anni delle superiori per tutte le classi.
Scarsi anche i programmi di scambio studentesco: attualmente solo un quarto delle scuole afferma di partecipare a progetti del genere; appena due anni fa oltre un terzo vi aderiva. Solo i licei riescono a salvare la faccia. Così come scendono le opportunità di stage di studio all’estero, possibili oggi solo per 64% degli studenti (nel 2014 il dato sfiorava il 70%). Bene solo l’insegnamento in lingua straniera di discipline non linguistiche, raddoppiato nell’ultimo biennio. Ma un conto è familiarizzare con una lingua a pochi chilometri da casa, tutt’altra faccenda è farlo nel luogo d’origine.