ROMA -Il bracconaggio in Italia colpisce 8 milioni di uccelli ogni anno: tra questi ci sono aquile, cicogne, falchi, e specie rarissime, come l’ibis eremita, alle quali l’Europa dedica progetti di conservazione. I dati provengono dal Dossier WWF “#FurtodiNatura: storie di bracconaggio Made in Italy”, presentatoin vista della Giornata Oasi prevista domenica 2 ottobre, in cui apriranno gratuitamente alcune aree protette dal WWF.
Fucili, archetti, reti, tagliole, roccoli e persino fumi di zolfo per stanare gli animali: gli attrezzi del bracconiere sono diversi. L’Italia è un ponte ‘naturale’ tra Europa e Africa, per importanti rotte migratorie degli uccelli, ma anche un paese ‘trappola’, con 27 aree ad alto ‘tasso’ di bracconaggio, comprese quelle marine.
Nelle Valli bresciane si catturano i passeriformi con trappole e roccoli, nelle isole di Ischia e Procida si aspetta il periodo di migrazione per sparare a milioni di piccoli uccelli, nelle isole Pontine si spara ai delfini, lungo l’Appennino tosco-emiliano i fucili sono contro lupi e rapaci, catturati o uccisi anche da trappole o bocconi avvelenati, lo stesso accade nel Sulcis, in Sardegna, ai danni dei cervi e passeriformi. Nello Stretto di Messina, attraversato ogni anno da 30-45mila uccelli migratori, non è stata ancora debellata completamente l’uccisione illegale di rapaci, cicogne, gru; lungo le coste sarde e nel Canale di Sicilia si pesca illegalmente il pesce spada.
Esiste anche un legame tra bracconaggio e criminalità organizzata, come nell’area del casertano in cui sono stati per molti anni affittati anche a malavitosi i bunker interrati utilizzati per gli appostamenti alla fauna; molti bracconieri inoltre utilizzano spesso i ‘servizi’ della malavita, comprando armi modificate o con matricole cancellate, oppure sfruttano i canali di vendita illegali per smerciare gli animali. A Ballarò a Palermo e a Sant’Erasmo a Napoli il fatturato del mercato nero di animali si aggira intorno ai 250.000 euro l’anno.