La sua verità raccolta in un libro, lì dove tutto è finito, oppure dove tutto è iniziato. Perché quel 1° Giugno 2011 ha distrutto la sua carriera, ma ha costruito un nuovo uomo. Marco Paoloni questo pomeriggio ha presentato presso il Blu Hotel di C.da Iannassi “Colpevole all’italiana”, l’autobiografia dell’ex portiere giallorosso che si racconta a 360 gradi. Dal calcio per entrare nei lati più reconditi di un giocatore coinvolto nell’inchiesta di Cremona riguardanti scommesse e partite truccate in serie B e Lega Pro. Non a caso, apre il suo libro con una lettera alla figlia, quella che per tre anni non ha potuto né incontrare, né ascoltare. “Sono stato accusato soprattutto mediaticamente – racconta Paoloni – e questo naturalmente ha infangato anche la mia reputazione e compromesso la mia vita personale.
Inizialmente non ero certo di voler scrivere un libro, poi con il tempo ho capito quanto fosse importante. Riuscire a farlo non è stato semplice, perché i temi trattati sono molto scottanti. Inizialmente, infatti, avevo chiuso un accordo con un editore per la pubblicazione, ma poi alla fine si sono tirati indietro. Poi ho trovato questo editore che ha creduto in me ed ora c’è il libro”.
Il ragazzo di Civitavecchia svela la sua verità, racconta le difficoltà dei primi anni e non solo nelle aule di tribunale:
“Oltre un lavoro, per me il calcio era soprattutto una passione e ne sono stato privato. E’ stato molto difficile nei primi due anni. Il mio è stato soprattutto un processo mediatico e quello che scrivo nel libro è tutto attestato dalle carte ufficiali, rispetto a quanto detto dai media. Già il fatto che l’udienza a Cremona sia iniziata dopo 5 anni lascia perplessi. Le altre inchieste sono tutte terminate, l’unica ferma è proprio quella di Cremona. Sono arrabbiato per la mia situazione personale, perché non ho fatto nulla e sono squalificato. Poi vedi invece Conte, Mauri ed altri che continuano la loro carriera. Mauri ha gli stessi miei capi di accusa e sta giocando a calcio. A Cremona deve iniziare ancora tutto, c’è l’udienza preliminare e la mia situazione rispetto a quella di 5 anni fa è cambiata. Lo stesso PM ha contattato il mio avvocato, confermando che con un patteggiamento mi sarebbe dato un anno ed in passato fu confidato che su Paoloni si erano sbagliati da molti punti di vista. Il processo è stato soprattutto mediatico, sono stato dipinto quasi come un boss. Racconto tutto nel libro”.
C’è l’ha contro il sistema calcio, quello con il quale non è disposto a scendere a compromessi, ce l’ha con il sistema giudiziario italiano tutto. Parte dai suoi errori, dal vizio del gioco, diventato dipendenza “che mi stava logorando mentalmente”. Racconta delle persone che ha incontrato, di quello che ha puntato ma di quanto il suo “vizio” non abbia influenzato il suo rendimento in campo: “Penso che quello che ho fatto nel rettangolo verde basti a svelare la verità. Purtroppo ho conosciuto delle persone che mi hanno avvicinato alle scommesse, anche se ho giocato tanto per basket, hockey o tennis. Il calcio lo giocavo pochissimo e comunque non scommettevo sulla mia squadra, al massimo le partite di Champions. Il gioco è un vizio che ti logora mentalmente ed è stato difficile uscirne, ma l’ho eliminato perché mi ha distrutto una vita”.
Non è sceso a compromessi, dice lui, e parla di “ricatti” anche fuori dal giro delle scommesse. Ritiene di essere cambiato, probabilmente, dal gioco non ne sarebbe venuto fuori se non fosse accaduto tutto questo. A chi gli chiede, infatti, di essersi pentito si non essersi pentito, lui risponde così: “In alcuni casi sì, perché avrei voglia di tornare a giocare, ma vado fiero di quello che ho detto. Sono uscito da un circolo di ricatti, ma ne sono entrato in altri. Se non avessi detto quello che loro volevano mi avrebbero tagliato le gambe e quella è una minaccia. Avrei preso meno squalifica, ma se tornerò a giocare così tornerò da innocente, ho scelto questa strada perché era quella giusta e sono orgoglioso di questo. Se un giorno ci sarà giustizia, giocherò a testa alta se il fisico lo permette”.
Spiega la scelta di tornare a Benevento, una piazza che ha sempre dimostrato affetto ad uno dei migliori portieri che ha vestito la casacca giallorossa: “Dopo l’esperienza di Cremona quando sono arrivato a Benevento mi sono sentito in una piazza di Serie A, è una città unica anche per come si vive il calcio.I tifosi mi hanno dimostrato tantissimo affetto e per me è un dovere essere qui a metterci la faccia. Ringrazio tutti i beneventani per quello che hanno fatto nel periodo più difficile della mia vita, li ho sentiti vicini”.
Lui volta pagina, confessa con gli occhi lucidi di aver rinunciato al sogno di tornare a giocare al termine della squalifica. “A parte il fisico non c’è più la testa quando subisci un’ingiustizia del genere”. Il calcio però Marco non lo abbandona ed adesso allena una squadra giovanile a Tarquinia: “non pensavo che un’esperienza del genere potesse dare così tanto”.
Chiude con un saluto a tutti i tifosi giallorossi: “Col calcio ho chiuso, ma con Benevento resta un amore platonico e non sono mai riuscito a fare a meno di seguirlo. Meritano la Serie B, una categoria che sta anche stretta ad una piazza del genere. Ringrazio Vigorito, è stata una persona molto importante per me”.